Il disagio: sintomo o segnale ?

Persone molto diverse, per carattere, età, occupazione, situazione familiare, parlano di sé in questi termini. E il profondo sconforto che se ne prova cede a volte il passo all’irritazione: perché questo compianto, perché questa passività? Perché ancora e sempre la richiesta di rapporti infantilmente rassicuranti? Perché la fuga dal mondo là fuori? Perché l’instancabile ricerca di un paradiso perduto che non verrà mai più? Al di là della propria storia personale, su cui si radica la fondatezza del disagio, vero, reale e grande, perché quella soluzione?

Parlando insieme a persone piacevoli, intelligenti, la parola patologia sembra inadatta. Sembra più adatta la parola malinteso. Persone vittime di un grande generale abbaglio che il male e il dolore non esiste se solo si riesce a trovare degli stratagemmi per evitarli. Che sia possibile vivere senza conflitti, differenze, separazioni. Il cibo droga o il corpo amuleto sembrano inutili esorcismi. E le anoressiche e le bulimiche lo sanno perfettamente: sanno che non ha funzionato. Ma non c’è alternativa dentro a quella logica in cui non si parla mai del dolore.

Si parla di colpa: propria e degli altri. Anche questo aspetto poggia su solide basi culturali. Smantellare l’edificio di reciproche colpe per parlare in termine di dolore, di reale difficoltà dell’esistenza, di reale perdita del paradiso che forse non c’è stato mai, questa mi sembra una strada per affrontare l’immane disistima che tutte queste persone hanno di sé e del mondo. Interrogarsi sulla loro autonomia mancata significa anche connetterla con la cultura della dipendenza e della competizione: cultura paradossale anch’essa. Riconnettere le loro storie al contesto che occultamente le spinge a negarsi la libertà di esprimere bisogno e difficoltà, ma anche individualità, è un’operazione più che terapeutica, culturale.

Individuare il disagio come esasperato segnale di una condizione sociale diffusa, significa modificare i termini della questione, e accantonare i termini della patologia significa parlare non più di sintomo ma di messaggio. Un quadro di riferimento non più soltanto psicologico, più attento all’interconnessione fra individuo e società, dovrebbe permettere di cogliere meglio un messaggio che ci coinvolge tutti.