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Un classico tira l’altro: perché riguardiamo i film di Natale

Foto di Getty Images

Alzi la mano chi ha già iniziato a fare la maratona dei film natalizi. Li abbiamo visti mille volte, certo, ma continuiamo a guardarli, al punto che ormai sappiamo riprodurre ogni espressione di Jim Carrey nel ruolo del Grinch e sappiamo a memoria la colonna sonora di Love Actually. Perché li riguardiamo allora? No, non è solo perché ci piacciono. Ne abbiamo parlato con uno psicologo e con un sociologo per capirci di più. https://a557ff098ce3fefe36575e3a5a7ef4a6.safeframe.googlesyndication.com/safeframe/1-0-38/html/container.html

Tre cose sono certe (e una di queste è una ‘Una Poltrona per Due’)

“In questo mondo nulla può dirsi certo, eccetto la morte e le tasse“, scriveva a un amico il politico e inventore statunitense Benjamin Franklin. Se fosse vissuto ai nostri tempi, lo scienziato avrebbe probabilmente menzionato anche Una poltrona per due. Se c’è una certezza al mondo, infatti, è che il 24 dicembre la commedia del 1982 John Landis venga proposta in prima serata su Italia Uno.

È diventata uno degli imperdibili classici natalizi, anche se non fu subito pensata per essere trasmessa durante questo periodo, dal momento che il primo passaggio televisivo fu il 9 aprile 1986 e su Canale 5. La prima volta che andò in onda su Italia 1 il giorno della Vigilia fu nel 1989, ma bisogna attendere il 2012 per l’appuntamento fisso, ogni anno, la sera prima di Natale. https://if-cdn.com/api/iframe?card=1&maxheight=750&url=https%3A%2F%2Fcoolturamaorg.wordpress.com%2F2020%2F12%2F23%2Fda-quanto-tempo-una-poltrona-per-due-in-tv-natale-italia-uno%2F&key=24841f9fc626e405b9ef6461218d1bd6&v=1&app=1 https://a557ff098ce3fefe36575e3a5a7ef4a6.safeframe.googlesyndication.com/safeframe/1-0-38/html/container.html

La televisione italiana ogni anno propone i classici natalizi durante le settimane precedenti e successive al 25 dicembre. Anche le piattaforme di streaming, come Netflix o Prime Video, propongono una categoria di “Classici di Natale” in cui rientrano tutti (o quasi) quei film con atmosfera natalizia con cui siamo cresciuti. È un apparente contraddizione rispetto a uno dei principi che muovono l’industria dell’intrattenimento, quello di conquistare il pubblico con prodotti e format sempre nuovi, eppure funziona.

Qualche esempio di film natalizio che quasi sicuramente rivedremo? Solo per citarne alcuni Mamma ho perso l’aereo, Il Grinch, Jack Frost, L’amore non va in vacanza, The Family Man, Polar Express, Miracolo sulla 34esima strada, Love Actually. Poi ci sono quei film e serie televisive tradizionalmente riproposte sotto le feste anche se non necessariamente sono ambientate nel periodo natalizio, come Fantaghirò, Una serie di sfortunati eventi, La storia infinita, Il Diario di Bridget Jones, Tutti insieme appassionatamenteoEdward mani di Forbice. https://if-cdn.com/api/iframe?card=1&maxheight=750&url=https%3A%2F%2Fwww.tgcom24.mediaset.it%2Fspettacolo%2Fmamma-ho-perso-laereo-e-il-film-di-natale-piu-amato-dagli-italiani-guarda-la-classifica_43185947-202102k.shtml&key=24841f9fc626e405b9ef6461218d1bd6&v=1&app=1 https://a557ff098ce3fefe36575e3a5a7ef4a6.safeframe.googlesyndication.com/safeframe/1-0-38/html/container.html

Ma perché, nonostante abbiamo già visto questi film moltissime volte, continuiamo a guardarli? Certo, sicuramente ci piacciono. La risposta tuttavia è un po’ più complessa ed è al centro anche di una ricerca effettuata dalla studiosa Cristel Russell della Pepperdine University di Malibù, in California, che ha definito questo fenomeno con il termine di re-consumption, ovvero ri-consumo, cioè fruizione ripetuta.

Ogni generazione ha i suoi classici

Ogni generazione associa alla propria infanzia e adolescenza alcuni prodotti cinematografici. Se chiediamo a un bambino se Il piccolo Lord del 1980 diretto da Jack Gold sia un classico di Natale, molto probabilmente non saprà nemmeno di che film si tratti e piuttosto indicherà come film natalizio Frozen o Polar Express. Altri classici invece sono più universali, come Mamma ho perso l’aereo, Mamma ho preso il morbillo o I Gremlins (anche se, come direbbe il Grinch: “Quel che è schifoso per uno, è profumoso potpourri per un altro”, e quindi esiste la remota ipotesi che qualcuno non li ami).

Sapere “come va a finire” ci rassicura fin da bambini

Secondo lo psicologo Paolo Bartalini, fin da piccoli siamo abituati ad addormentarci sentendo lo stesso racconto o ascoltando la medesima ninnananna. “A due o tre anni nascono le prime paure e si fanno i primi sogni complicati”, dice: “Addormentarsi con qualcosa che conosciamo è come pensare al futuro e sapere come va a finire. Ci sentiamo rassicurati continuamente“.

Fin da piccoli troviamo quindi un senso di sicurezza e protezione nel rivedere alcuni film e questo bisogno prosegue anche nell’età adulta. Tanto più che il periodo che stiamo vivendo da qualche anno, secondo lo psicologo Bartalini, è caratterizzato da estrema incertezza. “Abbiamo più paura e più bisogno di essere rassicurati”, dice. Guardare lo stesso film diventa quindi un modo inconscio per trovare una conferma, una certezza in un momento molto delicato e precario.

Rivedere la stessa pellicola inoltre può darci la possibilità di fare altre attività senza doverci concentrare troppo. “Diventa economico”, dice lo psicologo. “Puoi stirare mentre guardi un film che già conosci, se rivederlo è dovuto soprattutto al fatto che ti piace e ti senti al sicuro, non tanto per distrarti”.

Film che diventano rituali

Oltre a farci sentire rassicurati, le pellicole natalizie fanno parte in molte famiglie di un vero e proprio rituale. “È come giocare a tombola”, dice lo psicologo. “Quando ci giochi? Principalmente a Natale perché fa parte di un gesto ripetitivo che associ a questo periodo”.

Il Natale è ricco di tradizioni condivise (dall’imbandire la tavola al comprare i regali) o tipici di una singola famiglia, come cucinare una certa pietanza o visitare determinati luoghi. Rivedere tutti gli anni in compagnia Tutti insieme appassionatamente, ad esempio, può diventare un appuntamento fisso, un momento di condivisione e gioia a cui riservare un unico giorno all’anno.

Memorie d’infanzia

Rivedere film natalizi ci porta inoltre indietro nel tempo a ricordi felici associati alla visione di quel prodotto. Guardare, ad esempio, Nightmare Before Christmas, può farci venire in mente la prima volta che lo abbiamo visto al cinema con i nostri genitori o quando ci abbiamo portato i nostri figli: il fatto di rivederlo ogni anno sul divano, bevendo cioccolata calda e cantando le canzoni, può diventare sia un rituale, ma anche risvegliare in noi emozioni e ricordi piacevoli.

Il sociologo Luigi Caramiello ritiene possibile che la memoria del Natale possa essere rievocata attraverso i film natalizi, che diventano un modo per ritrovare il candore della fanciullezza. “Può agire in noi una dinamica nostalgica dell’infanzia che è un’epoca che si contraddistingue per un modo diverso di vivere certe occasioni celebrative. I bambini attendono Babbo Natale in una dimensione di incantesimo che poi con l’età adulta si tende a perdere”.

Quando un film non ci dà più le stesse emozioni

Può succedere, come dimostra nella sua ricerca anche Cristel Russell, che rivedere un film dopo tanti anni cambi il nostro giudizio iniziale e i ricordi e le emozioni che ci legavano a quel prodotto. Può darsi che gli effetti speciali ci appaiano troppo datati o che la trama sia più deludente di come la ricordavamo, un po’ come può succedere nel rileggere un libro dopo tanti anni.

“Secondo me alcuni film meritano di essere rivisti perché hanno la capacità di scatenare ogni volta una possibile novità ermeneutica”, dice Luigi Caramiello. “Ma ci sono film che sono condannati alla datazione. Nel mio specifico caso, ad esempio, quando ho rivisto Picnic ad Hanging Rock, che da giovane consideravo un bel film, mi sono reso conto che non avesse nulla di così suggestivo. I film che funzionano sempre sono quelli che propongono delle tipologie narrative di carattere universale, come le lettere di un alfabeto“, conclude.

Benessere

La psicoterapia mira a riattivare le risorse che ogni individuo ha, e che per motivi diversi, durante la vita, possono risultare inattive.

Fondamentale risulta il concetto di benessere. Benessere significa, prima di tutto, prendere il TEMPO, anche mezz’ora al giorno, per sé stessi.

E’ un modo di darsi una carezza che può cambiare il gusto dell’intera giornata. Benessere significa prendere il proprio SPAZIO.

La propria camera, il proprio laboratorio creativo, un pomeriggio al mare con un romanzo che fa sognare. Laddove necessario, questo spazio può trovarsi, nello studio del terapeuta. Luogo di accoglienza, di ascolto e di scambio umano autentico.

Tutte dimensioni, che nell’epoca del virtuale e della crescita tecnologica esponenziale, sono tutt’altro che scontate.

Benessere significa ascoltare sè stessi… Quei “piccoli desideri” da realizzare, e che troppo spesso vengono ignorati, regalano colore alla vita.

 

Quando e perchè consultare uno psicologo

Nella vita di tutti i giorni ci troviamo ad affrontare innumerevoli problemi e situazioni che richiedono abilità e competenze differenziate.

In un mondo che ci richiede un costante lavoro di messa a punto delle nostre capacità di far fronte alle situazioni più disparate, abbiamo l’esigenza di una continua riprogettazione del nostro modo di vivere.

In questo contesto parlare con uno psicologo può aiutarti a trovare la giusta direzione.

Ansia

Quali sono i sintomi dell’ansia?

I sintomi dell’ansia più comuni includono: sensazione di nervosismo, irrequietezza o tensione, percepire un senso di pericolo imminente, panico, aumento della frequenza cardiaca, iperventilazione, sudorazione, tremore, sensazione di debolezza o stanchezza, difficoltà di concentrazione, disturbi del sonno, problemi gastrointestinali, evitamento.


L’ansia non adattiva è una complessa combinazione di emozioni, sensazioni, cognizioni e comportamenti. Alcuni di questi sintomi fisici e psichici (non devono per forza essere tutti presenti) possono essere:


SINTOMI FISICI DELL’ANSIA:

  • Tachicardia
  • Palpitazioni
  • Dolori al torace
  • Respiro corto e difficoltoso
  • Disturbi gastro intestinali
  • Stitichezza
  • Mani fredde e bagnate
  • Dolenzia muscolare
  • Tremori
  • Pallore
  • Stimolo alla minzione
  • Contrazioni muscolari
  • Diarrea
  • Nausea
  • Vomito
  • Bruciore allo stomaco
  • Sudorazione
  • Sensazione di caldo o freddo
  • Bocca secca
  • Vertigini
  • Difficoltà a dormire
  • Risvegli frequenti
  • Riduzione dell’appetito

SINTOMI PSICHICI DELL’ANSIA:

  • Sensazioni di pericolo o minaccia
  • Preoccupazioni per la salute, il futuro, per il lavoro o per le persone care
  • Difficoltà di concentrazione
  • Confusione
  • Calo di efficienza nelle prestazioni
  • Sensazione di affaticamento
  • Apprensione
  • Irritabilità
  • Paura di morire, impazzire o perdere il controllo
  • Nervosismo
  • Incapacità a rilassarsi
  • Timore di non riuscire a farcela
  • Autosvalutazione
  • Valutazione irrealistica della realtà
  • Catastrofismo
  • Vergogna


SINTOMI COMPORTAMENTALI DELL’ANSIA:

  • Evitamento di specifiche situazioni
  • Fuga
  • Immobilizzazione
  • Reazioni eccessive di fronte agli stimoli
  • Non riuscire a guardare le persone negli occhi

BENESSERE

IL CORPO E LA MENTE: LA COMUNICAZIONE COME CONTRIBUTO AL BENESSERE ED ALL’INTEGRAZIONE DI ENTRAMBI.

di Boldrin Emanuela

IL BENESSERE

Il termine Benessere deriva da ben – essere = “stare bene” o “esistere bene” ed è uno stato che coinvolge tutti gli aspetti dell’essere umano.

Nel passato il significato di benessere coincideva con la salute fisica, ora ha assunto un significato più ampio, arrivando a coinvolgere tutti gli aspetti mentali, sociali, relazionali e spirituali.

Pensando alla parola Benessere si affacciano alla mente immagini e sensazioni positive: rilassamento, tranquillità, cura, vitalità, salute, equilibrio, positività, affettività, pace, silenzio, armonia…..

Il benessere si colloca anche nella relazione e nel sentimento con l’altro e con se stessi.“Armonizzare le funzioni della nostra personalità, valorizzare l’intenso bisogno dell’altro, soprattutto espresso nella necessità di dare e ricevere amore aiuta a risvegliare le naturali sapienze e felicità latenti in ogni persona.”(Ferrini M. 2011)

In tutti questi contesti entra in gioco un saper bene percepire e comunicare le sensazioni positive, sia attraverso gli aspetti del tono e dell’uso delle parole sia con i movimenti e con i gesti che trasmettono un’energia positiva con l’ambiente e con noi stessi. Pensiamo al tocco, al contatto corporeo, alla carezza, al massaggio ma anche al piacere che può offrirci uno sguardo o un sorriso.

Può essere utile descrivere alcuni concetti di base per collocare il significato di comunicazione e benessere ed il legame fra i due.

LA COMUNICAZIONE

La parola COMUNICAZIONE deriva dal latino cum = con, e munire = legare, costruire, il significato communico sempre in latino corrisponde a mettere in comune, far partecipe.

Le principali regole sulla comunicazione sono:

  • non si puo’ non comunicare
  • il comportamento non ha il suo opposto
  • l’attività’ e l’inattività, le parole e i silenzi hanno tutti il valore di messaggio
  • non esiste la non comunicazione

Paul Watzlawich, nella sua fondamentale opera sulla comunicazione sottolinea un principio essenziale della comunicazione: Ogni comunicazione procede su due livelli, il piano del contenuto ed il piano della relazione, ed è quest’ultimo a definire il primo. (Watzlawich, 1971)

Mediante le parole trasmettiamo delle informazioni e con i segnali del corpo diamo “informazioni alle informazioni”. Mentre la comunicazione verbale è guidata dall’intenzione, i gesti inconsapevoli del corpo sono un linguaggio più sincero: quando ci rapportiamo con gli altri, infatti, riusciamo a controllare le parole, ma non possiamo sempre gestire i movimenti, le espressioni attraverso le quali il corpo tradisce il vero stato d’animo. Pensiamo all’importanza del linguaggio del corpo nel bambino attraverso gli abbracci, il calore della propria pelle a contatto con quella della madre ed a quanto si sente rassicurato nello stabilire i primi rapporti col mondo esterno.

“Il piano del contenuto”, (cosa si dice) come indica la parola stessa, comprende quelle informazioni che consideriamo il contenuto di una comunicazione quando cioè prestiamo maggior attenzione alle parole. Per esempio, le parole, “Lascia sempre in giro il tubetto dell’attaccatutto aperto, e vedrai poi che allegria quando vorrai usarlo di nuovo!”. Si nota subito che chi ha pronunciato la frase non intendeva dire esattamente quello che dicono le parole, ma a ben vedere intendeva dire proprio il contrario.

“Il piano della relazione” (come si dice) è l’aspetto in cui la comunicazione costruisce la relazione: essa presuppone una risposta da parte di chi ascolta, una reazione, che influisce sul comportamento successivo di chi ha comunicato: la comunicazione dunque non è mera trasmissione di messaggi.

“La relazione è il tipo di rapporto che le persone costituiscono tra loro. Possono edificare delle ville dove regna amore e pace o possono costruire delle case fatiscenti che si sgretolano al primo colpo di vento. La relazione quindi è la risultante della qualità di comunicazione che si sviluppa tra le persone.”

(Cattinelli, 2002).

“La comunicazione perché sia utile per stare bene con gli altri, deve essere finalizzata ad una comprensione reciproca”(Taylor, 1992)

I canali attraverso i quali possiamo comunicare con gli altri sono:

  • Prossemica: la gestione degli spazi
  • Cinesica: la gestione dei gesti
  • Digitale: la gestione dei toccamenti
  • Paralinguistica: la gestione dei suoni vocali e strumentali

La PNL con i suoi modelli e strategie e lo studio dell’esperienza soggettiva, ci suggerisce le condizioni ideali per arrivare ad uno stato di benessere, per superare gli ostacoli, essere pieni di vita e positivi, essere flessibili e motivati.”Non esiste una comunicazione corretta o sbagliata. Esiste il risultato corretto o sbagliato, quindi è il risultato che definisce il tipo di comunicazione e bisogna imparare a leggere e ascoltare cosa esprime il risultato e di conseguenza variare il comportamento che lo determina.” (Cuttica, 1996)

IL SUONO, LE VIBRAZIONI TIBETANE, I MANTRA

La percezione di un suono, da parte di un orecchio normale, trae origine dall’oscillazione rapida di un corpo elastico (sorgente sonora), che, trasferita al mezzo elastico in cui esso si trova immerso (comunemente l’aria), vi produce delle onde. Queste onde captate dall’orecchio sono trasmesse al cervello nel quale suscitano la rappresentazione psichica del suono . “E’ molto importante comprendere il ruolo della coscienza nella traduzione psichica del suono. Attraverso la consapevolezza amiamo o ci sentiamo infastiditi da un certo tipo di musica, oppure ci lascia indifferenti, alcuni vanno in estasi ascoltando certi bravi musicali, altri non riescono a comprenderli, ma tutti ascoltano e registrano nel loro cervello .” (Tronconi, 1998)

“Per migliaia di anni soprattutto in Oriente si sono studiate le vibrazioni della voce e delle parole con la scienza dei mantra.

La traduzione del termine Mantra è ripetizione ritmica, il nome, formato dalla radice sanscrita man (da cui il termine manas da mettere in parallelo con il latino mens, mente) e dal suffisso tra, che indica uno strumento.

Secondo la tradizione indiana i mantra aiutano a raggiungere l’equilibrio della mente, a trovare dentro di sè la parte buona, l’energia vitale ed ad avvicinarsi al divino. In pratica le loro particolari vibrazioni emettono dei suoni che provocano l’armonizzazione del campo energetico ed hanno la capacità di influenzare il cuore, creano un’onda la cui risonanza genera pensieri.” (Favaron , 2010)

Alcuni esempi di mantra sono:

OM o AUM che gli indiani chiamano suono primordiale, è un suono che rende sani, armonici.

OM MANI PADME AUM appartenente alla tradizione tibetana che veniva usato insieme alla vibrazione di una ciotola composta da diversi metalli che entravano in frequenza con il mantra.

KIAI chiamato anche il “ruggito del leone esterno” che esprime un grido di potenza, di rilascio dell’energia interiore. Questo mantra viene usato in Giappone ed è classico delle arti marziali.

Se pronunciamo uno qualsiasi di questi mantra ci accorgiamo che possiamo modularli in centinaia di timbri e tonalità diverse producendo altrettanti effetti vibratori. E’ ovvio quindi che poco importa il significato di quello che si pronuncia, ma l’effetto e la coscienza prodotti dalle vibrazioni.

La vibrazione tibetana che è più facile collegare nella nostra mente è quella legata al massaggio sonoro con le campane tibetane. La loro composizione deriva da una lega di sette metalli che sono in corrispondenza con i sette principali pianeti: proprio tali pianeti fungono da ponte tra l’uomo sulla terra e le stelle nell’universo. I mantra e i moduli di frequenza usati nelle Vibrazioni Tibetane stimolano il nostro sistema energetico producendo quello che gli antichi medici tibetano chiamavano “il percorso del principio della durata della vita” migliorando il nostro sistema psicofisico.

IL BENESSERE NELLA VOCE

Riguardo la voce possiamo dire che non solo l’uomo è dotato della voce, ma anche l’animale, ed è interessante notare che la voce si trova soltanto negli animali a sangue caldo. Vuol dire che esiste un rapporto diretto tra sangue, calore e voce. Nell’uomo si aggiunge il fatto che la sua voce non rimane lasciata a se stessa ma riceve una differenziazione del suono (attraverso vocali e consonanti, le vocali portano il suono e la melodia mentre le consonanti danno la struttura e il sostegno, formando e creando questa melodia) che la fa divenire un mezzo d’espressione dell’anima. Nella voce possiamo cogliere lo stato di malessere o benessere di uno stato d’animo. Essa è individuale come l’impronta digitale, si parla infatti di carta d’identità sonora. Dal suo tono si può dedurre l’umore di una persona, riusciamo a provare un sentimento o una sensazione di benessere o di disagio.

Perché ci sia benessere il tono della voce deve essere calmo e pacato ci deve offrire una vibrazione equilibrata e di serenità, deve rassicurare l’interlocutore con un timbro gradevole, nitido, senza scatti, non si deve parlare troppo in fretta ma nemmeno eccedere nelle pause.

La voce e le parole hanno una straordinaria efficacia nel manifestare le emozioni, stati d’animo e le qualità vocali sono un mezzo importante per regolare i rapporti interpersonali, per negoziare conflitti, nonché per influenzare il pensiero e la condotta degli altri. Pensiamo ad una voce normale, veloce o una lenta, alta o bassa, sussurrata ed a come esprimiamo le diverse emozioni primarie come la gioia, la collera, la paura, la tristezza, il disprezzo o a una secondaria come la tenerezza. (Hirschi, 2009). Modulare il parlare in modo calmo e pacato ci offre il benessere di stabilire una qualità della voce che aiuta a creare reazioni nell’altra persona positive. “E più che la parola, è il suono della voce a dare significato profondo all’esperienza, quel significato archetipo e primordiale proprio del mantra, il significato che il suono della voce materna ha per il neonato. E’ la voce che prima di qualsiasi altro gesto costituisce la primaria esperienza per ogni essere umano.” (Gerardi, 1990 )

IL BENESSERE NELLE PAROLE

Le prime sillabe o parole pronunciate dall’essere umano sono state sicuramente di tipo onomatopeico, ovvero riproducevano un suono della natura (il vento, il mare, la pioggia) e il linguaggio ha cominciato ad assumere gradualmente una certa forma e ritmo quando gli esseri umani hanno riconosciuto le proprie emozioni e sentito il bisogno di esprimerle. Nella memoria atavica esistono suoni che danno sensazioni positive, quali pace, gioia, felicità e, per contro, conflitto, angoscia, tristezza.

S. Agostino parlava di nutrimento della mente solo ciò che rallegrava.

La parola espressa con la voce ha un colore, un volume, un ritmo musicale; emana un’aura che può essere armonica o disarmonica, evoca un’immagine, una sensazione, può dare un input o bloccare, può creare o distruggere. Antifonte, per esempio, curava i malati di mente con la parola, anticipando di migliaia di anni l’attività degli odierni psicoterapeuti. (AA.VV, 2010)

Ognuno di noi ha le sue “parole di forza”. Sono parole molto speciali alle quali associamo un maggiore grado di energia emotiva e per questo motivo vengono anche chiamate “parole emotivamente cariche”.

Non sono parole magiche o fuori dalla normalità ma a volte molto diffuse come “amore, tragedia, libertà ecc. “, alcune sono “generiche “ come queste, altre “personali” cioè che hanno per la persona un significato particolare.

Maria Teresa di Calcutta diceva che “ le belle parole sono anelli che formano la catena dell’amore

Il comunicatore di successo è colui il quale ha la capacità di fare “camminare le parole” . (Erickson,1983)

IL BENESSERE NEL SILENZIO

L’altro assioma della comunicazione umana è che: E’ Impossibile Non Comunicare! Poiché il parlare è il comportamento usuale, non marcato della comunicazione, la sua assenza può rappresentare un veicolo di significazione .

Quindi anche nel silenzio si comunica.

Pensiamo alla ricchezza di significato di due innamorati che comunicano con lo sguardo, o semplicemente il silenzio può comunicare rispetto, come ad esempio quando in una classe si resta in silenzio in seguito all’ingresso di un insegnante.
Il silenzio può essere usato dal mio interlocutore per riflettere, perché vuole cedermi la parola, perché non vuole dire qualcosa, perché non vuole comunicare con me.

“In alcune culture come quelle orientali o africane, momenti di silenzio sono considerati normali in una conversazione, per offrire agli altri la possibilità di riflettere e giudicare. Tra alcune tribù pellerossa il silenzio significa il non riconoscimento di una persona dopo che questa abbia subito un lutto, una grave malattia o dopo un lungo periodo di lontananza, come che queste esperienze cambiano l’identità di una persona. Nelle culture nord occidentali, ossessionate dall’uso del linguaggio, il silenzio tra intimi può essere un segnale di condivisione di affetti ed emozioni; nelle relazioni sociali è un segnale di incertezza, ambiguità o non collaborazione tra interlocutori”. (Casiddu, 2004)

IL BENESSERE NEL LINGUAGGIO DEL CORPO

Il linguaggio non verbale è rappresentato dalla gestualità, dalla posizione del corpo, dalla mimica facciale, dal sorriso, dal contatto visivo ecc. e rappresentano la maggioranza dell’efficacia comunicativa.” (Sansavini, 1996).

Questi elementi possono:

  • Trasmettere emozioni (gioia, ansia, paura ecc.)
  • Stabilire la relazione tra i soggetti (dominio, sottomissione, parità)
  • Indicare la posizione sociale, le gerarchie e l’appartenenza allo status sociale.

Nella comunicazione affettiva non verbale, il contatto corporeo, il tocco, il massaggio con l’altro sono alimenti importanti per l’uomo da quando è bambino a quando diventa vecchio.

Tutto il corpo è coinvolto e specialmente le mani e le gambe. Se, per esempio una persona è annoiata, estende al massimo le gambe e le incrocia sopra la caviglia. L’ansia invece può essere comunicata da mani contratte, busto in avanti, spalle rialzate, pugni stretti o impegnati ad aggrappare i braccioli di una sedia. La depressione si individua attraverso movimenti lenti e privi di energia; la gioia e l’euforia da movimenti veloci, ritmici ed affettuosi. Alcuni codici non verbali ci sono offerti dall’espressione del volto: la mimica facciale è un mezzo di comunicazione molto efficace a distanza ravvicinate. Alcuni movimenti possono essere involontari, così da rivelare i veri sentimenti della persona. Ad esempio nell’espressione della felicità il volto si presenta con il labbro superiore innalzato, le labbra aperte, gli angoli della bocca sollevati e tirati indietro e le narici dilatate. Pensiamo ai film del cinema muto. Charlie Chaplin riusciva col la sua insuperabile capacità espressiva ad esprimere emozioni ed intenzioni. Oppure pensiamo anche alla postura cioè alla posizione del corpo. Può essere eretta, rannicchiata, in ginocchio, distesa, etc; ad ogni postura corrispondono differenti atteggiamenti degli arti, diverse angolazioni del corpo ed emozioni. Si è visto che una persona dominante tiene le braccia in posizione asimmetrica (ad esempio, in tasca), oppure si inchina lateralmente. La postura di sottomissione è, invece meno eretta e col busto abbassato. E’ interessante rilevare come le persone che si sentono in “sintonia” come due amici o due innamorati tendono ad assumere inconsciamente, posture molto simili, durante una conversazione. Altri atti analogici significativi che esprimono gradimento ed approvazione del soggetto sono durante una conversazione sorridere, annuire, piegare il capo verso una spalla, tenere le braccia ben discoste dal corpo e le mani aperte, giocherellare con un mazzo di chiavi, o altri oggetti , far scorrere un dito intorno ad un bicchiere o a una tazza, la suzione di una matita o delle dita che ci segnala l’interesse per l’argomento e la gratificazione nei confronti della persona che si ha davanti.

“Il corpo è la sede di un linguaggio con segnali espliciti ed impliciti, reagisce agli stimoli propri ed altrui con un insieme di messaggi che devono essere decifrati soprattutto per la comunicazione nel rapporto interpersonale. Gli altri sistemi di comunicazione ovvero quello dell’intonazione, quello paralinguistico o quello cinesico sono affidati al tono od all’intonazione della voce, alla gestualità, agli sguardi, alle scelte degli atteggiamenti e possono oltre che sostituirsi alle parole, persino prescindere dal loro significato se si trovano con esse in contraddizione.”(Guantieri, 1985)

I mortali non sanno mantenere segreti. Se le loro labbra sono silenziose, spettegolano con le punta delle dita: il tradimento si fa strada attraverso ogni poro della pelle “ Freud

IL TATTO

La pelle è l’organo di senso più importante del corpo; se infatti si può fare a meno di vista, udito, olfatto, gusto, non si può sopravvivere senza le funzioni della pelle (pensiamo a chi ha delle ustioni estese spesso compromette ma la capacità vitale). Confine tra noi ed il mondo esterno la pelle ha diverse funzioni:

  • ci fa da involucro al corpo
  • ci difende dalle aggressioni esterne
  • aiuta l’organismo a metabolizzare l’acqua, i grassi ed i sali minerali
  • contribuisce al sistema di regolazione della temperatura facendoci sentire il caldo ed il freddo

“Il tatto rappresenta il recettore più sviluppato del nostro corpo. Il bambino sin dall’utero della madre attraverso il tatto prova la sensazione che possiamo immaginare mettendoci un dito in bocca e toccando la parte interna della guancia, avverte la guaina cedevole ma resistente nello stesso tempo, che lo avvolge, lo protegge, lo contiene.”(Ferrara F., Castellarin D., 2010) .

Il tatto permette quindi al feto di sentire il tepore le liquido amniotico, la morbidezza della parete uterina, inizia a comunicare in modo intimo i ritmi, le vibrazioni, le sensazioni, con la madre.

“Per il neonato quindi la pelle è lo strumento per comunicare in modo diretto, prima ancora di decifrare i messaggi verbali è in grado di comprendere il linguaggio tattile e di percepire attraverso il tono muscolare (teso o rilassato) le sensazioni ed i sentimenti di chi si prende cura di lui. E’ quindi, una cosa del tutto naturale dialogare con il suo corpo attraverso un tocco rispettoso e consapevole”(Mascheroni, 2009)

Pensiamo anche all’aiuto che possiamo ottenere dal tatto per far apprendere una conoscenza a qualcuno ”nulla sarà più efficace, parlando ad esempio di un tipo di stoffa, che mostrare un campione di tessuto così la mano del destinatario ne avverta la qualità, la trama e l’ordito”. (Majello, 1987)

TOCCO ED IL CONTATTO CORPOREO

E’ la più antica forma di comunicazione, ed è la più importante per i bambini. Purtroppo sono stati fatti esperimenti nel Medioevo ma anche nel secolo scorso, e si è visto che se ad un bambino appena nato si dà solo da mangiare senza mai toccarlo, nel giro di poco tempo muore. Il contatto aiuta nello stabilire relazioni amichevoli.

Non ci sorprende osservare questo insegnamento anche nel mondo animale. “La maggioranza dei mammiferi passa molto tempo a leccare i cuccioli, leccare serve a stimolare il sistema fisiologico e a creare un legame con la madre. Se per qualche motivo, non vengono leccati, accarezzati o a cui viene impedito il contatto con la pelle della madre, crescono magri e vulnerabili.” (F. Mascheroni, 2009).

Anche nell’ambito assistenziale si sta sviluppando recentemente l’esigenza di acquisire nuove forme di comunicazione corporea quali, ad esempio, il Nurturing Touch, definita come la tecnica del ”tocco che nutre“, diffuso in Italia da Peggy Dawson . Questo terapista neozelandese, ha elaborato ed introdotto una nuova tecnica, Il Nurturig Touch che offre al malato momenti di pace, quiete, amore, gentilezza, piacere e ristoro. La persona si sente oltremodo considerata ed accudita. Dal punto di vista fisico il Nurturing Touch riduce il dolore ed il disagio, stimola la circolazione del sangue ed il sistema linfatico, consente al paziente di dormire meglio e riduce la tensione muscolare. Inoltre è un ottimo mezzo per comunicare con il malato manifestandogli tutto l’amore che si nutre per lui. L’Healing Touch (Tocco del Sollievo) è un approccio terapeutico basato sulla bioenergia. Serve ad equilibrare l’energia del paziente affinché questa possa scorrere liberamente dai centri di energia attraverso tutto il corpo. Questa tecnica non invasiva utilizza le mani per pulire, attivare ed equilibrare l’energia della persona e quella dell’ambiente circostante, apportando sollievo a livello emozionale, mentale e spirituale. L’Healing Touch si propone di ripristinare l’armonia e l’equilibrio del sistema di energia del paziente, è un complemento delle cure tradizionali e viene utilizzato ad integrazione di altri approcci terapeutici atti a procurare sollievo al malato.

Un approccio simile è stato seguito anche da Marie de Hennezel a Lione nel 1946, psicologa e psicoterapeuta, esperta nelle cure palliative che ha sperimentato l’Aptonomia “la scienza dell’affettività trasmessa con il contatto”ed applicata soprattutto nei malati terminali.

La caratteristica principale di ogni terapia a indirizzo corporeo è quella di utilizzare la componente cinestesica del sistema nervoso periferico come veicolo di informazioni fra ciò che succede alla parte più esterna del nostro corpo. La pelle diventa così il confine tra il sé ed il non sé. (Signoretto, 2010)

Ma pensiamo al tocco anche nella nostra quotidianità, in quei gesti che possiamo compiere spontaneamente e frequentemente. Ad esempio toccarsi la bocca, sfiorarsi le labbra sono atti stimolanti di gradimento emotivo, il mordicchiarsele sono un invito di ampliare il tema oggetto del dialogo , esprime desiderio, lo stesso significato ha il toccare in modo confidenziale con la mano l’altro che si traduce con l’accettazione e gradimento dell’altro. Anche l’autocontatto è utile spesso nelle situazioni di stress o di stanchezza può darci conforto.

COSA COMUNICHIAMO CON LE MANI

Quante volte usiamo le mani o le nominiamo in varie occasioni. Pensiamo a quando salutiamo con una stretta di mano o scriviamo un sms o telefoniamo. Oppure ai frequenti modi di dire come ad esempio: venire alle mani, avere le mani bucate o pulite, prendersi per mano, lavarsi le mani, chiedere la mano di una fanciulla. Le mani sono ricche di significati, rivelano le ns, emozioni, definiscono l’interazione sociale, “sono il veicolo simbolico privilegiato di sincerità, onestà, lealtà, sottomissione.” (Paese, 1981). I cristiani pregano con le palme unite verso l’alto, in qualche cultura si giura con la mano sul cuore o col il palmo sulla Bibbia.

A livello fisiologico, invece, i recettori della pelle, stimolati dagli sfioramenti delle mani, trasmettono le stimolazioni prima alla corteccia cerebrale, subito dopo al talamo e quindi all’ipotalamo fornendo sensazioni di piacere molo elevati.

Le mani possono sfiorare, spingere, frizionare, sentire, toccare, accarezzare, massaggiare. Queste azioni rimandano a contenuti affettivi e corporei, ad una relazione ed a un linguaggio – quello del tatto – notoriamente penalizzato in una cultura, come quella occidentale, essenzialmente cognitiva, visiva e improntata su un formalismo che penalizza i contatti fisici. Allora diventa una riscoperta aprirci a dare e ricevere carezze o tenerezze.

IL MASSAGGIO

Bertrand Russel diceva che non solo la nostra geometria e la nostra fisica, ma tutta la nostra concezione di ciò che esiste fuori di noi è basata sul senso del tatto.

“Ogni movimento, ogni contatto tattile avvia un’enorme varietà di risposte sensoriali al cervello che aiutano a percepire un profondo senso di se stessi. Il tatto aiuta a percepire con precisione i confini esterni, la prima difesa contro qualsiasi attacco ed il massaggio rappresenta un gesto di cura, di comunicazione e di attenzione che porta al benessere psicofisico” (Belloni, Speciali, 2006)

“Il massaggio è una fonte di benessere su chi lo riceve ma anche su chi lo pratica, è un momento di reciproco scambio di forze, un modo per attingere vigore dall’energia vitale che circola nel nostro corpo” . (A. Rizzi, 2007)

“Il massaggio è una delle più antiche arti di guarigione ed ha le sue basi fisiologiche sul principio che l’essere umano è un microcosmo legato intimamente con l’ambiente che lo circonda e lo attraversa dove la salute diventa un equilibrio dinamico tra i ritmi dell’ambiente esterno e le funzioni dell’organismo. Il massaggio è un prezioso segnale che ci informa sul nostro equilibrio energetico”. (Favaron D., 2010)

IL BENESSERE NEL SORRISO

Nei vari momenti della storia il ridere è ha assunto significati diversi. Per Aristotele il riso e’ tipico dell’essere umano e sconosciuto ad altri essere viventi. Gli antichi lo vedevano come un segno di riconoscenza filosofica, un abito saggio e spirituale. Ma in altri periodi il riso è stato denigrato. Pensiamo nella Roma repubblicana, la commedia e la satira sono state ritenute sataniche o si regalavano affermazioni come “il riso abbonda sulla bocca degli stolti” ma mai come oggi l’uomo sempre preoccupato, ansioso, affannato sembra trovare la spinta a ridere. Eppure pensiamo alla gioia provata almeno una volta nella vita di ridere a crepapelle (crepare la pelle nel linguaggio psicosomatico significa proprio rompere quella barriera tra noi e gli altri che la pelle ben simbolicamente rappresenta) fino alle lacrime. Oppure alla saggezza popolare che ci dice che una risata al giorno toglie il medico di torno o il riso fa buon sangue. Il segnale del sorriso e del riso non sono appresi ma si manifestano appena dopo la nascita, il movimento di base è lo scoprire i denti più o meno apertamente con la funzione di manifestare piacere. Filogeneticamente deriva da uno schema di comportamento difensivo e protettivo che successivamente si è trasformato in un segnale di sottomissione e non ostilità. Con questo significato è abbastanza diffuso tra molte scimmie e primati.” (Hoof, 1997).

Osho e le tradizioni orientali parlano della risata come di una vetta di consapevolezza: la risata come gesto sacro di empatia verso il creato, per l’elevazione spirituale che comporta.

La risata è universale, libera un’enorme energia libidica, facilita un contatto con gli altri, scioglie le resistenze, riesce a minimizzare i nostri difetti o errori e ci fa sentire più rilassati e leggeri.

Ridere apre l’anima al suono delle cose secondo Rilke.

Nei primi racconti mitologici il riso degli dei veniva letto come fertilità, abbondanza e regalo divino. (Fioravanti,1999) Anche in ambito cristiano, nei vangeli apocrifi, che sono stati accolti dalla Chiesa fino al III secolo d.C. la figura di Cristo ero fortemente incline al gioco, allo scherzo, al riso. Per non ricordare l’usanza fin dall’ottavo secolo del risus paschalis in cui il giorno di Pasqua, durante la messa solenne di resurrezione i parroci, durante la predica, cercavano l’ilarità dei fedeli raccontando storie, barzellette, canzoni.(Jacobelli M. 1990). Non trascuriamo l’autentica forza della comunicazione, l’entusiasmo che porta con sé energia e trasmette la convinzione della validità di ciò che stiamo dicendo.

Anche Freud riteneva che l’allegria e la risata fosse uno strumento estremamente utile per mitigare gli effetti della tensione nervosa e dedicò all’umorismo un libro nel 1905: Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio.

Sir William Osler sentiva nella risata “la musica della vita”. Da un punto di vista fisico, secondo alcuni studiosi, la funzione di una bella risata è quella di rallentare la produzione di sostanze che, col tempo, impoveriscono il sistema immunitario, come il cortisolo, l’ormone tipico dello stress prodotto dalle ghiandole surrenali. Secondo altri facilita anche la liberazione di sostanze che potenziano il sistema immunitario come le beta endorfine, prodotte nell’encefalo, che hanno un potente effetto analgesico, migliora la circolazione sanguigna, abbassa la pressione. Secondo William Fry, psichiatra della Standord University in California, ridere di cuore provoca effetti simili all’esercizio fisico ed ha osservato che dieci risate al giorno equivale a circa dieci minuti col vogatore.

Persino Dante Alighieri ha poetizzato lo scoppio di una risata come un corruscare (lampeggiare) della gioia dell’anima.

La grande varietà di mezzi e canali di comunicazione ci permette di cogliere diversi tipi di codici che si intrecciano, si integrano si completano. Dobbiamo cercare di usarli per permettere che le emozioni positive, l’amore, la gioia, la serenità siano sentimenti di benessere per stare meglio noi e gli altri.

IL SEGRETO DEL SORRISO

Un topino girava per il bosco. Si fermò a osservare un fiore e pensò: “Mi sembra che questo fiore diventi sempre più bello ogni giorno che passa!. ”Mentre pensava ciò, udì una bella voce melodiosa che diceva: “Ogni giorno divento più bello perché respiro l’aria, ascolto il canto degli uccelli, e mi diverto a farmi scaldare dal sole. Il calore del sole, che fa crescere ogni cosa, è come l’amore della mamma…”

Il topino si meravigliò di quanto aveva sentito e un po’ incredulo andò in un posto ben illuminato dal sole. Non ci aveva mai fatto caso, ma quello che provò gli fece tanto bene: si sentì caldo, contenuto e con tanta voglia di cantare.

Dopo avere fatto questa esperienza pensò: tutte le volte che sarò triste cercherò di farmi scaldare dal sole: starò meglio, proprio come dopo una carezza della mamma.

Il topino diventò vecchio, e sorrideva sempre. A quanti gli chiedevano il segreto della felicità, rispondeva: “Bisogna chiedere al sole il segreto del suo calore!”

E dopo questa risposta, si metteva al sole ….e sorrideva contento.

Luciano De Benedetti, 2000

Belloni E., Speciani F., I manuali del benessere, Rinforzare le difese, RCS Quot. spa Mi, 2006.

Birkenbhil V., , Segnali del corpo, Franco Angeli, Milano, 1995

Casiddu M.B. La comunicazione non verbale in Manuale di Linguistica, De Agostini editore, 2004

Cattinelli A. Il tesoro più grande sei tu, ISS Group, 2002

Cuttica Laura, L’arte di comunicare, Le strategie delle Programmazione Neurolinguistica, Xenia Edizioni, 1997

De Benedetti Luciano, La forza dell’albero, Arti Grafiche Friulane, 2000

De Varti L., Sorrisi e risate riv. Salutare 6

Erickson M., Opere vol. I La natura dell’ipnosi e della suggestione, Astrolabio. 1983

Favaron D. Contatto con tatto in Atti del Convegno Psicosomatica ed Energia Vitale, Libr.Pad. Ed., 2010

Ferrara Pajno F., Castellarin D., Per fare un albero ci vuole un fiore, Cierre Edizioni Vr, 2010

Ferrini M., Il ruolo della volontà, Centro Studi Bhaktivedanta, 2011

Fioravanti . – Spina L. La terapia del ridere, Red Edizioni. 1999

Gerardi E. , Training autogeno e salute, ed. L’arciere, 1990

Guantieri G., Il linguaggio del corpo in ipnosi, Edizioni Post-universitarie Verona, 1985

Hirschi G., La pratica dei mantra, ed. Armenia Pan Geo, 2009

Hoof J.A.R.A.M. Analisi comparata della filogenesi del riso e del sorriso in La Comunicazione non verbale nell’Uomo, a cura di R.A. Hinde, Laterza, Bari 1977

Jacobelli M.C. Il risus paschalis, Queriniana Brescia 1990

Cuttica Laura, L’arte di comunicare, Le strategie delle Programmazione Neurolinguistica, Xenia 987

Mascheroni F. e adesso…coccole, come la tenerezza aiuta a crescere, Sfera editore, 2009

Paese A.,Body Language, Sheldon Press, London, 1981

Rizzi A, Massaggio, teoria e pratica del massaggio rilassante e terapeutico, Biesse Gruppo Editoriale Brancato, 2007

Sansavini C., Parlare in pubblico o “la presentazione persuasiva”Demetra srl, 1996

Signoretto G., Tocchi somatici e psico-rintocchi in Pregiudizio e Terapie , Minerbino A., Alpes Italia, 2010

Taylor T., L’incomprensione linguistica, Roma-Bari, Laterza, 1996

Tronconi S. Tibetan Vibration, Castelvecchi Editoria & Comunicazione srl, Roma 1998

Watzlawich P, La pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma, 1971.

Il dolore

Se davvero la sofferenza impartisse lezioni,il mondo sarebbe popolato di soli saggi.

E invece il dolore non ha nulla da insegnare a chi non trova il coraggio e la forza di ascoltare.

Sigmund Freud

Decalogo Antipanico

Ecco perché l’Ordine ha voluto condividere il “decalogo antipanico”.

1. Attenersi ai fatti, cioè al pericolo oggettivo. Il Coronavirus è un virus contagioso ma come ha sottolineato una fonte OMS su 100 persone che si ammalano 80 guariscono spontaneamente, 15 hanno problemi gestibili in ambiente sanitario, solo il 5 hanno problemi più gravi e tra questi i decessi sono circa la metà ed in genere in soggetti portatori di altre importanti patologie.

2. Non confondere una causa unica con un danno collaterale. Molti decessi non sono causati solo dall’azione del coronavirus, così come è successo e succede nelle forme influenzali che registrano decessi ben più numerosi. Finora i decessi legati al coronavirus sono stimati nel mondo sono cento volte inferiori a quelli che si stima causi ogni anno la comune influenza. E tuttavia questo 1% si aggi- unge ed è percepito in modo diverso dai “decessi normali”. Finora nessuno si preoccupava di una forte variabilità annuale perché tutti i decessi venivano attribuiti all’influenza “normale”: nell’ultima stagione influenzale sono scomparsi 34.200 statunitensi e, l’anno prima, 61.099.

3. Se il panico diventa collettivo molti individui provano ansia e desiderano agire e far qualcosa pur di far calare l’ansia, e questo può generare stress e comportamenti irrazionali e poco produttivi.

4. Farsi prendere dal contagio collettivo del panico ci porta a ignorare i dati oggettivi e la nostra capacità di giudizio può affievolirsi.

5. Pur di fare qualcosa, spesso si finisce per fare delle cose sbagliate e a ignorare azioni protettive semplici, apparentemente banali ma molto efficaci.

6. In linea generale troppe emozioni impediscono il ragionamento corretto e frenano la capacità di vedere le cose in una prospettiva giusta e più ampia, allargando cioè lo spazio-tempo con cui esaminiamo i fenomeni..

7. È difficile controbattere le emozioni con i ragionamenti, però è bene cercare di basarsi sui dati oggettivi. La regola fondamentale è l’equilibrio tra il sentimento di paura e il rischio oggettivo.

8. Questa semplice figura permette di vedere la paura del coronavirus in prospettiva.
La figura mostra nella parte superiore i pericoli di cui si ha più paura di quanta se ne dovrebbe avere. In questi casi l’indignazione pubblica può suscitare panico e, di conseguenza, ansie sproporzionate e dannose. Nella parte inferiore, al contrario, ci sono i pericoli a cui siamo abituati e che non provocano paure. La sproporzione tra le aree dei due cerchi mostra quanta differenza c’è tra paure soggettive e pericoli oggettivi. (Fonte: Paolo Legrenzi, A tu per tu con le nostre paure. Convivere con la vulnerabilità, Il Mulino, 2019).

9. La figura mostra il fenomeno delle paure nel loro complesso: l’indignazione pubblica sui media accentua alcune paure, come quelle per gli attacchi terroristici e i criminali armati, e induce a sottovalutare altri pericoli oggettivi a cui siamo abituati. Le caratteristiche del panico per coronavirus lo avvicinano ai fenomeni improvvisi e impressionanti che inducono panico perché sollevano l’indignazione pubblica.

10. Siamo preoccupati della vulnerabilità nostra e dei nostri cari e cerchiamo di renderli invulnerabili. Ma la ricerca ossessiva dell’invulnerabilità è contro-producente perché ci rende eccessivamente paurosi, incapaci di affrontare il futuro perché troppo rinchiusi in noi stessi.

Sigmud Freud

Secondo Freud, la Verneinung (la negazione) subentra quando c’è qualche aspetto della realtà che troviamo insopportabile, insoddisfacente o conflittuale e, per difenderci da questo elemento che ci procurerebbe una sofferenza inaudita, mettiamo in atto un meccanismo difensivo immaturo che ci consente di negarla.

INCONTRA LO PSICOLOGO SENZA USCIRE DI CASA

In questi giorni in cui siamo chiamati a limitare il più possibile gli spostamenti, soprattutto come senso di responsabilità verso le fasce più deboli della popolazione, ricordatevi che se volete “incontrare” il vostro psicologo o volete chiedere un consulto ad uno psicologo un po’ più lontano, potete farlo anche senza uscire di casa, chiamando il 3475033016 e fissando un appuntamento su Skype o WhattsApp

Coronavirus

Vademecum Coronavirus

CONSIGLIO NAZIONALE ORDINE PSICOLOGI 

MORPHEMA 

VADEMECUM PSICOLOGICO 

CORONAVIRUS 

PER I CITTADINI 

Proteggere i bambini È bene proteggere anche i bambini. Se ci interrogano, daremo sempre la nostra disponibilità a parlare serenamente di quello che possono aver sentito e li spaventa correggendo un quadro statisticamente infondato. È meglio non esporli alle informazioni allarmistiche di cui sopra. 

Perché le paure possono diventare panico e come proteggersi con comportamenti adeguati, con pensieri corretti e emozioni fondate. 

Non ti vergognare di chiedere aiuto Se pensi che la tua paura ed ansia siano eccessive e ti creano disagio non avere timore di parlarne e di chiedere aiuto ad un professionista. Gli Psicologi conoscono questi problemi e possono aiutarti in modo competente. 

Questa semplice figura permette di vedere la paura del coronavirus in prospettiva. 

Questo breve vademecum non vuole essere esaustivo né sostituirsi ad un aiuto professionale. È un contributo per riflettere ed orientare al meglio i nostri pensieri, emozioni e comportamenti individuali e collettivi – di fronte al problema Covid-19. Pochi minuti del vostro tempo per una lettura che ci auguriamo possa esservi utile.5 marzo 2020 

David Lazzari Presidente Consiglio Nazionale Ordine Psicologi 

La figura mostra il fenomeno delle paure nel loro complesso: nella parte superiore i pericoli di cui si ha più paura di quanta se ne dovrebbe avere. Nella parte inferiore, al contrario, ci sono i pericoli a cui siamo abituati e che non provocano paure adeguate. La sproporzione tra le aree dei due cerchi mostra quanta differenza cè tra paure soggettive e pericoli oggettivi. (Fonte: Legrenzi, A tu per tu con le nostre paure. Convivere con la vulnerabilità, Il Mulino, 2019). 

TIL 

LA PAURA. La paura è un’emozione potente e utile. È stata selezionata dall’evoluzione della specie umana per permettere di prevenire i pericoli ed è quindi funzionale a evitarli. Però funziona bene se è proporzionata ai pericoli. Così è stato fino a quando gli uomini avevano esperienza diretta dei pericoli e decidevano volontariamente se affrontarli oppure no. Oggi molti pericoli non dipendono dalle nostre esperienze. Ne veniamo a conoscenza perché sono descritti dai media e sono ingigantiti dai messaggi che circolano sulla rete. Si ha più paura dei fenomeni sconosciuti, rari e nuovi, e la diffusione del nuovo Coronavirus ha proprio queste caratteristiche. Ecco alcune indicazioni per evitare che la paura diventi eccessiva rispetto ai rischi oggettivi, finendo per danneggiarci. 

INDICAZIONI ANTI-PANICO 

1. Attenersi ai fatti, cioè al pericolo oggettivo

Il Coronavirus è un virus contagioso ma come ha sottolineato una fonte OMS su 100 persone che si ammalano la maggior parte guarisce spontaneamente o ha solo problemi lievi. Le misure collettive eccezionali scaturiscono soprattutto dalla esigenza di arginare l’epidemia. 

5. Siamo preoccupati della vulnerabilità nostra e dei nostri cari e cerchiamo di renderli 

invulnerabili. Ma la ricerca ossessiva dell’invulnerabilità è contro-producente perché ci rende eccessivamente paurosi, incapaci di affrontare il futuro perché troppo rinchiusi in noi stessi. 

BUONE PRATICHE PER AFFRONTARE 

IL CORONAVIRUS 1. Evitare la ricerca compulsiva di informazioni, usare e diffondere fonti informative 

affidabili Riduci la sovraesposizione alle informazioni dei media e dei social. Una volta acquisite le informazioni di base, è sufficiente verificare gli aggiornamenti sulle fonti affidabili. Si hanno così tutte le informazioni necessarie per proteggersi, senza farsi sommergere da un flusso ininterrotto di “allarmi ansiogeni”. – Ministero della Salute: http://www.salute.gov.it/nuovocoronavirus – Istituto Superiore di Sanità: https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/ 

2. Non confondere una causa unica con un danno collaterale 

Le situazioni più gravi o i decessi sono per lo più dovuti all’azione congiunta di più problemi di salute, non sono causati solo dall’azione del coronavirus, così come è successo e succede nelle forme influenzali che registrano decessi ben più numerosi. 

3. Farsi prendere dal contagio collettivo del panico ci porta a ignorare i dati oggettivi e la 

nostra capacità di giudizio può affievolirsi. Molti provano ansia e desiderano agire e far qualcosa pur di far calare l’ansia, e questo può generare stress e comportamenti irrazionali e poco produttivi. Pur di fare qualcosa, spesso si finisce per fare delle cose sbagliate e a ignorare azioni protettive semplici, apparentemente banali ma molto efficaci, come quelle suggerite dalle Autorità sanitarie. 

2. Un fenomeno collettivo e non personale 

Il Coronavirus non è un fenomeno individuale. Ci dobbiamo proteggere come collettività responsabile. L’Istituto Superiore di Sanità indica semplici azioni di prevenzione individuale (https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/). L’uso regolare di queste azioni elementari riduce significativamente i rischi di contagio per sé, chi ci è vicino e la collettività tutta. 

4. Troppe emozioni impediscono il ragionamento corretto e frenano la capacità di vedere le cose 

in una prospettiva giusta e più ampia, allargando cioè lo spazio-tempo con cui esaminiamo i fenomeni.. E’ difficile controbattere le emozioni con i ragionamenti, però è bene cercare di basarsi sui dati oggettivi. La regola fondamentale è l‘equilibrio tra il sentimento di paura e il rischio oggettivo. 

3. Agisci collettivamente per un fenomeno collettivo 

Anche se tu ti sei fatto un’idea corretta del fenomeno è bene cercare di aiutare gli altri raccontando in parole semplici il nostro decalogo e le raccomandazioni qui elencate. Puoi fornire le semplici informazioni sopra indicate, ragionando con calma e pazienza invece di ignorare o, peggio, disprezzare chi non sa e si rifiuta di pensare. Agire tutti in modo informato e responsabile e aiutarsi reciprocamente a farlo, aumenta la capacità di protezione della collettività e di ciascuno di noi. 

Psicologo in farmacia

Benvenuti cosa pensate dello psicologo in farmacia? Vi sembra una buona possibilità oppure no?

Se avete voglia lasciate la vostra opinione.

Grazie

Aggiungo un articolo per dare qualche informazione in più.

 

foto seminario

LO PSICOLOGO IN FARMACIA 

“UN SERVIZIO PER IL BEN-ESSERE PSICOLOGICO”

L’iniziativa “Lo Psicologo in Farmacia”, già sperimentata con successo in numerose città italiane, Milano, Roma, Torino, Bologna, Varese ed altre, nasce dalla sinergia della professionalità di Farmacisti e Psicologi e dalle associazioni di categoria alle quali fanno riferimento, l’Ordine del Farmacisti e l’Ordine degli Psicologi, ma anche con le Istituzioni territoriali, come Federfarma, i Comuni, le ASL, etc.

Con la Legge n. 69 del 18 Giugno  2009 e successivo Decreto Legislativo n. 153 del 3 Ottobre 2009, il Presidente della Repubblica emana alcune disposizioni legislative in materia di nuovi compiti e servizi assistenziali erogati dalle farmacie pubbliche e private nel rispetto di quanto previsti dai Piani socio – sanitari regionali e previa adesione del titolare della Farmacia.

Tali disposizioni legislative hanno permesso alla Farmacia di affermarsi  come presidio sanitario sempre più capace di cogliere e intercettare le esigenze del Territorio e allo Psicologo professionista di legittimare la sua presenza all’interno del sistema della salute e del benessere territoriale.

Il progetto “Lo Psicologo in Farmacia” si struttura in un Servizio che si svolge all’interno degli spazi della farmacia, contesto facilmente accessibile e familiare e si rivolge ai cittadini maggiorenni che possono usufruire di una consulenza psicologica (non psicoterapeutica) gratuita, fornita da uno Psicologo il quale accoglierà e analizzerà la domanda portata dalle persone che esprimono un disagio psicologico e procederà  con il supporto, l’orientamento e le informazioni utili alla gestione della specifica richiesta.

Tale Servizio può essere definito come un’opportunità per intercettare, in un’ottica di prevenzione psicologica, i bisogni inespressi da parte delle persone che esprimono un disagio psicologico e usufruire, nel rispetto della riservatezza e della privacy, di un professionista, lo Psicologo, preparato al primo ascolto e alla valutazione dei disagi che possono essere portati in consulenza, come disturbi d’ansia, depressivi, psicosomatici, problematiche relazionali familiari e di coppia, situazioni di stress correlate a particolari eventi della vita (lavoro, nascita di un figlio, separazioni, lutto, malattie organiche croniche), etc. aiutando la persona ad attivare, dove possibile, le proprie risorse, oppure individuando nel caso in cui sia necessario, le strutture pubbliche e/o private presenti sul Territorio che possano offrire una presa in carico, ovvero un percorso di sostegno psicologico idoneo.

In conclusione, il Servizio “Lo Psicologo in Farmacia” può essere funzionale  ad intercettare i bisogni non espressi da parte dei cittadini, di tutte le fasce di reddito, che esprimono un disagio psicologico, rilevando la specificità della domanda in relazione al contesto territoriale di appartenenza, di alleggerire le richieste in ambito psicologico che pervengono al Sistema Sanitario pubblico arricchendo la rete di servizi presenti sul Territorio ed infine nella diffusione e promozione della cultura del benessere psicologico, finalizzata a migliorare la qualità della vita dell’individuo e della collettività.

Cambiare modo di vedere le cose

Il modo in cui definiamo il problema condiziona la scelta della soluzione o spiega le difficoltà che incontriamo nel trovarne una davvero efficace.

Ma questa definizione del problema deriva in larga misura dal modo in cui pensiamo e percepiamo le difficoltà,che,come abbiamo visto è il prodotto della nostra educazione,delle nostre esperienze di vita e delle nostre convinzioni.

Pertanto,se già la nostra visione del problema e limitante,non è affatto sorprendente che essa limiti la nostra capacità di risolverlo.

Per ovviare a ciò,possiamo cambiare prospettiva o cambiare il modo in cui guardiamo la nostra situazione.

 

Martin

Sentirsi depressi

Attualmente la depressione è considerata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità la seconda causa di disabilità nel panorama delle malattie fisiche e psicologiche. Si stima che nel mondo circa 340 milioni di persone soffrano di depressione. La fascia di età più colpita è quella compresa tra 30 e 49 anni. Il disturbo depressivo è circa due volte più frequente tra le donne.

Nel corso degli ultimi anni la prevalenza della depressione è aumentata costantemente e nello stesso tempo l’età di insorgenza è diminuita. I più recenti dati ci raccontano una crescente e necessaria attenzione nei confronti delle malattie psichiatriche.

La Fondazione BRF Onlus – Istituto per la ricerca scientifica in psichiatria e neuroscienze si occupa da anni di sviluppare ricerche indipendenti e promuovere divulgazione scientifica e formazione per medici e nello specifico psichiatri.

“Sentirsi depressi – spiega la Prof.ssa Donatella Marazziti, responsabile ricerche della Fondazione BRF – significa vedere il mondo attraverso degli occhiali con le lenti scure: tutto sembra più opaco e difficile da affrontare, anche alzarsi dal letto al mattino o fare una doccia. Molte persone depresse hanno la sensazione che gli altri non possano comprendere il proprio stato d’animo e che siano inutilmente ottimisti.

I sintomi della depressione più comuni sono la perdita di energie, senso di fatica, difficoltà nella concentrazione e nella memoria, agitazione motoria e nervosismo, perdita o aumento di peso, disturbi del sonno (insonnia o ipersonnia), mancanza di desiderio sessuale e dolori fisici. Le emozioni tipiche sperimentate da chi è soffre di disturbo depressivo sono la tristezza, l’angoscia, disperazione, insoddisfazione, senso di impotenza, perdita della speranza, senso di vuoto. I sintomi cognitivi sono la difficoltà nel prendere decisioni e nel risolvere i problemi, la ruminazione mentale (restare a pensare al proprio malessere e alle possibili ragioni), autocritica e autosvalutazione, pensiero catastrofico e pensiero pessimista.

I comportamenti che contraddistinguono la persona depressa sono l’isolamento sociale, i comportamenti passivi, frequenti lamentele, la riduzione dell’attività sessuale e i tentativi di suicidio.

La depressione può presentarsi come un singolo evento nella vita dell’individuo o come condizione ricorrente, oppure far parte del disturbo bipolare, con vari sottotipi più o meno gravi, in cui episodi depressivi si succedono ad altri di polarità opposta.

L’impatto sociale dei disturbo dell’umore è enorme, in termini sia di qualità della vita e adattamento sociale di chi ne è affetto che di costi per al società”.

Introduzione alla Psicanalisi 1915

 

 

 “Le emozioni represse non muoiono mai. Vengono sepolte vive e in futuro usciranno nel peggiore dei modi.”

La società ci ha insegnato a sopprimere le emozioni, catalogandone alcune come inadeguate e altre come un segno di debolezza. Tuttavia, nascondere e reprimere le emozioni equivale a non accettarle e quindi queste rimangono nell’inconscio e causano dei danni. Quando finalmente tornano alla luce, possono causare un vero e proprio terremoto emotivo.

 

“La tradizione è una scusa per le menti pigre che si rifiutano di adattarsi al cambiamento.”

Le tradizioni ci danno un illusorio senso di sicurezza, sono qualcosa di familiare che conferisce un ordine logico al nostro mondo. Pertanto è comprensibile che l’idea di abbandonarle ci terrorizzi, soprattutto se il futuro è incerto. Tuttavia, è solo abbracciando l’incertezza e mettendo in discussione le tradizioni che possiamo andare avanti. Se ci aggrappiamo al passato, ci anchilosiamo e moriamo un poco alla volta ogni giorno, perché il mondo è in continua evoluzione.

La possibilità di dare un senso ai sintomi nevrotici mediante l’interpretazione analitica è una prova irrefutabile dell’esistenza – o, se preferite, della necessità dell’ipotesi – dei processi psichici inconsci.

 

Dipendenza affettiva

Descrizione della Dipendenza Affettiva

Avere legami forti ed esserne condizionati è una cosa normale.

Diventa problematica quando ci si dedica completamente a un’altra persona rinunciando ai propri bisogni, facendo sacrifici pur di accontentarla, fino a ridurre le proprie attività e i propri interessi.

come uscire dalla dipendenza affettiva

Se l’altra persona assorbe tutto il nostro tempo, fino a diventare un’ossessione che condiziona comportamento e pensieri, si tratta di una Dipendenza Affettiva – o Love Addiction – e ha caratteristiche simili a qualsiasi altra dipendenza. Il bisogno di stare con lei è sempre più forte (tolleranza), non si riesce a farne a meno (assuefazione), in sua assenza ci si sente smarriti, persi, impauriti (astinenza), non si riesce a immaginare la propria vita senza l’altro.

In questa situazione, non si riesce a fare un progetto in autonomia, a trascorrere del tempo con se stessi e frequentare altre persone. La paura del distacco e di essere abbandonati è tale da spingere a sopportare situazioni anche molto spiacevoli, a diventare gelosi, possessivi, controllare l’altro oppure a fargli continue richieste di rassicurazione, dimostrazioni d’affetto, senza però riuscire a sentirsi veramente corrisposti. La relazione che si crea non è equilibrata, manca reciprocità e crea grande sofferenza.

Dati statistici sulla Dipendenza Affettiva

La Dipendenza Affettiva riguarda soprattutto le donne tra i 20 e i 50 anni, ed è anche chiamata “Sindrome delle donne che amano troppo”.

Dipendenza Affettiva: le cause

Sulle cause sono state forumale alcune ipotesi. Secondo alcune teorie potrebbe derivare da conflitti psicologici e fattori ambientali o sociali, bisogni rimasti insoddisfatti o traumi subiti durante l’infanzia, come ad esempio la perdita di una persona cara, o da un Disturbo di Ansia da Separazione comparso in età infantile o giovanile.

Dipendenza Affettiva: i sintomi

Si manifesta con i sintomi tipici della dipendenza: tolleranza, assuefazione e astinenza rispetto a un’altra persona, che viene idealizzata e diventa indispensabile per la propria auto-realizzazione e il proprio benessere, inoltre possono essere presenti:

  • mancanza di autonomia;
  • riduzione di interessi e vita sociale;
  • rinuncia ai propri spazi, bisogni e desideri;
  • atteggiamento servizievole, tollerante e sottomesso;
  • difficoltà a manifestare disaccordo e i propri sentimenti;
  • possessività, grande gelosia, controllo dell’altra persona;
  • sentimenti di rabbia, paura dell’abbandono e sensi di colpa;
  • perdita di lucidità e difficoltà a controllare i propri atteggiamenti;
  • ansia, angoscia, senso di vuoto, depressione e smarrimento all’idea del distacco.

Freud

1. “Sono stato un uomo fortunato, niente nella vita mi è stato facile.”

Solo nelle avversità possiamo crescere. Sono i problemi a stimolarci facendoci mettere mano alle nostre risorse e trovare la grinta necessaria per fare un passo avanti e uscire dalla nostra zona di comfort. Comprendere le avversità come una sfida ci permette di metterci alla prova e sviluppare il nostro pieno potenziale. In realtà, se c’è qualcosa che caratterizza le persone resilienti è che assumono le difficoltà come delle opportunità per imparare e crescere

2. “Le emozioni represse non muoiono mai. Vengono sepolte vive e in futuro usciranno nel peggiore dei modi.”

La società ci ha insegnato a sopprimere le emozioni, catalogandone alcune come inadeguate e altre come un segno di debolezza. Tuttavia, nascondere e reprimere le emozioni equivale a non accettarle e quindi queste rimangono nell’inconscio e causano dei danni. Quando finalmente tornano alla luce, possono causare un vero e proprio terremoto emotivo.

3. “La tradizione è una scusa per le menti pigre che si rifiutano di adattarsi al cambiamento.”

Le tradizioni ci danno un illusorio senso di sicurezza, sono qualcosa di familiare che conferisce un ordine logico al nostro mondo. Pertanto è comprensibile che l’idea di abbandonarle ci terrorizzi, soprattutto se il futuro è incerto. Tuttavia, è solo abbracciando l’incertezza e mettendo in discussione le tradizioni che possiamo andare avanti. Se ci aggrappiamo al passato, ci anchilosiamo e moriamo un poco alla volta ogni giorno, perché il mondo è in continua evoluzione.

Psicoterapia online

Questo è il servizio per chi cerca una risposta ai propri problemi e che preferisce una terapia o un sostegno online piuttosto che in studio.

  1. Le nuove tecnologie consentono di incontrare le persone che soffrono di disagi psicologici anzichè in studio direttamente in videoconferenza. Vengono garantite le stesse regole che si applicano nel classico contesto di studio: riservatezza e massimo rispetto per la persona.
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Decalogo dello Psicologo

Psicologia Clinica, Psichiatria e Psicoterapia

  1. Deve saper venire incontro al “non-voler-sapere” del suo paziente, tenendo conto che a suo tempo quello stesso non voler sapere lo riguardò personalmente.
  2. Deve saper tacere e all’occorrenza parlare per spiegare.
  3. Sa tollerare la menzogna momentanea che il paziente si ripete, leggendovi il desiderio inconscio sottostante.
  4. Essendo esposto alla commozione, deve avere un atteggiamento di empatia, senza mai operare con imperturbabilità, distacco, freddezza, masenza perdere il suo stesso equilibrio.
  5. Deve possedere una profondità di sguardo, una naturale sagacia unita ad una passione per l’ottimismo tale da poterla coltivare nell’altro, contagiandolo incondizionatamente.
  6. E’ consapevole della fragilità umana, della propria caducità e insufficienza, ma sa valorizzare le potenzialità dell’altro, sottraendosi però a un rovinoso senso di superiorità.
  7. Conosce se stesso e considera la propria personalità come fattore curativo.
  8. Sa che ciò che un uomo può fare o essere per un altro uomo, non si esaurisce in forme comprensibili né standardizzabili o uguali per tutti, poiché ogni caso è unico.
  9. Si ispira a poeti e saggi di tutte le culture e di tutti i tempi.
  10. Sa che il fattore curativo per eccellenza è l’amore in senso lato, come atteggiamento dell’anima che ci rende vulnerabili e totalmente esposti alla vita, che accade come conseguenza di una rottura del guscio narcisistico, in un movimento di apertura, disvelamento e accoglimento della molteplicità presente in noi stessi, di quell’altro che non sapevamo di essere perché oltre il nostro io limitato e angusto.

Con il contributo di Roberto Ruga

L’importanza del non rimuovere nulla, del rimanere integri nella tensione degli opposti

Nel bellissimo libro-commento all’antico testo cinese “Il segreto del fiore d’oro”, Jung ci riporta uno stralcio di una commovente lettera inviatagli da una sua paziente sull’importanza dell’accettazione.


«Recentemente ho ricevuto una lettera da una mia antica paziente, la quale descrive con parole semplici ma appropriate la trasformazione necessaria:

Dal male ho ricavato molto bene. Il mantenere la calma, il non rimuovere nulla, il rimanere vigile e insieme l’accettazione della realtàprendendo le cose come sono e non come avrei voluto che fossero – mi hanno portato conoscenze singolari ma anche singolari energie, quali prima non avrei potuto immaginare.

Ho sempre pensato che se non si accettano le cose, esse in un modo e nell’altro ci sopraffanno; ora invece non è più così, e solo accettandole è possibile prendere posizione di fronte a esse.

Anch’io voglio partecipare al gioco della vita nell’accettare ciò che di volta in volta mi offrono i giorni e la vita, bene e male, sole e ombra che costantemente si alternano, e così accetto anche la mia natura, con i suoi lati positivi e negativi, e tutto si ravviva.

Com’ero pazza, io che volevo forzare ogni cosa ad adattarsi al mio volere!”»

(C.G.Jung – Commento all’antico testo cinese “Il segreto del Fiore d’Oro”, Bollati Boringhieri, p.68)

«Se semplicemente si riuscisse a lasciar andare le cose, ci si accorgerebbe che il male si esaurisce, e si afferma il bene.»

(Jung)

Il compito dello psicoterapeuta

“Il compito dello psicoterapeuta, contrariamente ad un diffuso malinteso, non è affatto quello di «trovare» cos’è che non va nel paziente per poi poterglielo «dire». Altri glielo «avevano già detto» per tutta la sua vita e, nella misura in cui ha accettato le parole altrui, egli stesso «se lo diceva». […]

Il lavoro dello psicoterapeuta non consiste nemmeno nell’imparare delle cose riguardo al paziente per poi insegnargliele, bensì insegnare al paziente come imparare ciò che concerne se stesso.

Questo significa che il paziente deve diventare direttamente consapevole di come realmente funzioni in quanto organismo vivente; e questo avviene sulla base di esperienze concrete e non verbali”.

Fritz Perls

Ippoterapia

Può succedere in ambito psicoterapico, che si cerchi “il nuovo”, dimenticando che esistono interventi vecchi quanto l’uomo ma che solo pochi hanno analizzato scientificamente per proporli nei tempi moderni a beneficio di molti, bisognosi di un supporto psicologico.

Il mestiere dello psicoterapeuta, deve prevedere saggiamente, per ogni suo paziente, tecniche diverse per momenti diversi in un processo al centro del quale c’è un essere umano sofferente da aiutare.

Il gioco del cavallo a dondolo riflette il sapore antico del rapporto tra cavallo e uomo, scandito dal ritmo rassicurante del dondolio che lo accompagna dal grembo materno alla culla fino alla sedia a dondolo.

Sentirsi in sintonia con un cavallo apre ad una gamma di complesse esperienze relazionali di grande rilievo psicologico (utilizzabili dallo psicoterapeuta). Al cavallo si devono impartire dei comandi per decidere le andature, dunque lo si porta ma si è anche portati: si è cullati e al tempo stesso trasportati dal suo ritmo. Ciò è frutto di una relazione, somigliante a quella che si instaura tra esseri umani, che offre un campo di infinite esplorazioni, proiezioni, simulazioni, in virtù delle quali si sviluppa un processo terapeutico nel quale il cavallo è l’alterità grazie alla quale articolare la propria identità. Esso non rappresenta di per sé un valore salvifico ma è l’instaurarsi della comunicazione e della relazione affettiva che risultano curativi.

Abbandonarsi ad un dorso che accoglie con calore, con una ritmicità costante, significa instaurare un gioco dialettico con cui si attivano funzioni già sperimentate nell’infanzia attraverso il linguaggio corporeo che rende consapevoli sentimenti positivi e vitali. Le dinamiche che si instaurano nella relazione tra soggetto-oggetto (in ippoterapia uomo/cavallo), sappiamo da Jung essere alla base del fluire dell’energia psichica, che regola il contrasto tra funzioni opposte (processi pulsionali/sentimentali) convogliandole verso l’azione. Il grande, caldo e dondolante corpo del cavallo, in terapia, è dunque un contenitore di pulsioni, in cui due diversità diventano armonia. La mediazione di questo rapporto si attua grazie al terapista (ippoterapeuta) scaturendo in una dinamica triangolare grazie alla quale l’equitazione diventa terapia e la terapia equitazione.

Ecco che l’utilizzo del cavallo, oltre che in ambito sportivo e ricreativo, trova applicazione nel contesto terapeutico e riabilitativo: uno psicologo e psicoterapeuta non può trascurare di indagare su qualsiasi cosa aiuti un essere umano nel “difficile mestiere di vivere!

Se il malessere che vive l’uomo moderno può esser dovuto ad un porsi in modo errato con l’ambiente mettendosi con esso in contrapposizione, risulta interessante tentare di utilizzare metodiche terapeutiche che favoriscono la ricongiunzione delle due realtà, uomo e natura.

Ci sono molti sostegni ambientali che si usano spontaneamente ma inconsapevolmente per lenire solitudine, sofferenza e angoscia. La ricerca di uno spazio verde, ampio e silenzioso o l’accoglienza di un animale (pet) da accudire nella routine della vita quotidiana, costituiscono ad esempio piaceri che abbassano il livello dei disagi.

Ecco che anche il maneggio, la scuderia, il centro equestre, risultano setting operativi privilegiati, spazi facilitanti di ascolto e socializzazione per il paziente e di osservazione per l’operatore; il paziente viene infatti osservato in una situazione in cui si sente libero e quindi se ne può cogliere in modo più autentico manifestazioni che in altri ambienti medicalizzati sarebbero condizionati ed inibiti.

La pratica dell’IPPOTERAPIA, cioè l’equitazione come mezzo terapeutico, grazie agli innumerevoli stimoli positivi che apporta, permette in modo graduale di entrare in relazione con un altro essere vivente, l’ambiente circostante e le persone che lo frequentano. Le fasi, che hanno tempi variabili e livelli di autonomia del soggetto sempre diversi, si articolano più o meno così:

  • Governo della mano, con cui si effettuano azioni finalizzate alla pulizia ed alla cura del cavallo

  • Bardatura, cioè la vestizione dell’animale con sella, redini etc

  • Conduzione del cavallo nel campo di lavoro e salita in sella

  • Attività a cavallo e con il cavallo anche portato alla lunghina

  • Discesa, uscita dal campo, dissellaggio e ricompensa al cavallo con cibo e coccole.

Con la terapia coadiuvata dall’animale, i pazienti si trovano a lavorare in un contesto dove non sono costretti a fare nulla, quindi, tutto quello che producono è frutto di uno sforzo nato dalla motivazione indotta dalla vicinanza con l’animale, che, oltre ad essere empatico, non valuta e non giudica.

L’offerta di un vitale ed inedito rapporto centrato sul fare e sullo stare insieme, offre una gamma complessa di esperienze relazionali di grande valenza anche psicosociale. Riabilitare in quest’ottica significa mettere il paziente nella condizione di scegliere lo stile della propria vita, convivendo magari con i propri sintomi ma procedendo comunque verso una vita socialmente attiva (si minimizzano gli effetti della disabilità e si massimizzano le potenzialità nascoste).

L’ippoterapia ha trovato facile spazio nel bisogno del malato di uscire dalla dimensione dell’ ”eterno assistito”, emarginato in luoghi di cura chiusi e sterili; in ogni caso comunque, i cavalli ed altri animali, non sono da considerare sostitutivi delle altre terapie bensì valori aggiunti, strumenti facilitatori che favoriscono l’espansione delle interazioni positive al di fuori di quelle nell’ospedale o negli studi medici.

La presenza degli animali risulta positiva per il morale, riduce il livello di ansia, dona la sensazione di sentirsi utili, spazza via la solitudine attraverso i seguenti meccanismi:

  • Gli animali offrono amore incondizionato

  • Forniscono una sicurezza tattile

  • Non giudicano

  • Stimolano la tendenza umana ad offrire protezione

Ecco perché perché possono trarne giovamento coloro che sono affetti da:

  • Depressione

  • Stati di solitudine, isolamento

  • Bassa auto considerazione

E’ stato dimostrato che le persone depresse manifestano un attaccamento all’animale a cui si affezionano particolarmente forte (Mc Culloch, 1981) tanto che nella depressione associata a disturbi fisici cronici, quali diabete, insufficienza cardiaca, gastriti, si è constatato che il legame instaurato con l’animale influisce al miglioramento anche della malattia fisica. Accarezzare un manto caldo e morbido induce ad un effetto calmante e quindi ad una riduzione della pressione arteriosa; ciò è vantaggioso per chi soffre di ipertensione e disturbi coronarici ma anche a ridurre lo stato di ansia in soggetti che hanno difficoltà a rilassarsi.

Introdurre un programma di Ippoterapia in un approccio multidisciplinare può essere una forma sia di prevenzione che di cura delle sofferenze psichiche. Uscire dalla solitudine, creare un’immagine positiva di sé, sentirsi amati ed utili, sono passi importanti che con l’affiancamento di un animale possono riuscire più semplici ed edificanti.

GF.

Resilienza

La vita ci pone di fronte a situazioni difficili e dolorose: la perdita di persone care, una malattia, un incidente grave, che ci fanno provare emozioni intense, che ci portano a percepire un profondo senso di vulnerabilità. Generalmente, con il tempo, le persone riescono ad adattarsi a tali situazioni. Quello che fa adattare, però, non è solo il “tempo che guarisce”, ma c’è una parte di noi capace di fronteggiare situazioni difficili e di riorganizzare positivamente la propria vita, nonostante le difficoltà che farebbero pensare ad un esito negativo: questa capacità è la resilienza. Le persone resilienti sono quelle che, immerse in circostanze avverse, riescono, nonostante tutto e talvolta contro ogni previsione, a fronteggiare efficacemente le avversità, a dare nuovo slancio alla propria esistenza e perfino a raggiungere mete importanti (Wikipedia).

Il termine resilienza viene preso in prestito dal mondo della metallurgia ed indica la capacità di un materiale di conservare la propria struttura, dopo essere stato sottoposto a schiacciamento e deformazione. “La resilienza è una parola di derivazione latina che permette di descrivere il grado in cui una struttura metallica o mentale è capace di resistere a un urto, risultando così più o meno resiliente. La resilienza ti permette di perseguire i tuoi obiettivi nonostante i continui “no”, le sconfitte, e i traumi della vita: è quella forza che riesce a farti rialzare per la millesima volta e che ti consente di trovare una via di scampo dal dolore. Implica la possibilità di trasformare un evento doloroso in un processo di apprendimento e di crescita. Avere un alto livello di resilienza non significa evitare le difficoltà o essere dei Supereroi, ma significa essere disposti al cambiamento, alla rinuncia, all’accettazione quando necessario; disposti anche a pensare di poter sbagliare, ma anche di poter correggere la rotta. Rivalutare la propria sofferenza, modificare l’idea che si ha di essa, integrarla nella propria storia individuale, oltre che viverla come un valore aggiunto per la propria persona, che rende sensibili, a sua volta, anche alle sofferenze altrui.
Cantoni (2014) ha individuato cinque componenti che contribuiscono a sviluppare la resilienza

1)L’Ottimismo, cioè la disposizione a cogliere il lato buono delle cose. Chi è ottimista tende a sminuire le difficoltà della vita e a mantenere più lucidità per trovare soluzioni ai problemi (Seligman, 1996).
2) L’Autostima. Avere una bassa autostima ed essere molto autocritici, infatti, porta una bassa tolleranza delle critiche, cui si associa una più alta possibilità di sviluppare sintomi depressivi.
3) La Robustezza psicologica (Hardiness). che è a sua volta scomponibile in tre sotto-componenti, il controllo (la convinzione di essere in grado di controllare l’ambiente circostante, mobilitando quelle risorse utili per affrontare le situazioni), l’impegno (la chiara definizione di obiettivi significativi che facilita una visione positiva di ciò che si affronta) e la sfida, che include la visione dei cambiamenti come incentivi e opportunità di crescita piuttosto che come minaccia alle proprie sicurezze.
4) Le emozioni positive, ovvero il focalizzarsi su quello che si possiede invece che su ciò che ci manca.
5) Il supporto sociale, sentire di essere oggetto di amore e di cure, di essere stimati e apprezzati.
6) Cosa ci può aiutare per diventare più resilienti? – Una visione positiva di sé e la capacità di accettarsi con pregi e difetti; – La capacità di porsi traguardi realistici; – Un buona gestione delle proprie emozioni; –
Coltivare le relazioni sociali; – Prendere esempio da persone resilienti – Imparare a chiedere aiuto “Sii come il bambù, fuori duro e compatto, dentro morbido e cavo. Le sue radici sono saldamente confitte nel terreno e si intrecciano con quelle di altre piante per raffozzarsi e sorreggersi a vicenda. Lo stelo si lascia investire liberamente dal vento, e lungi dal resistergli, si piega. Ciò che si piega è molto più difficile a spezzarsi.”.

Perchè si fuma?


La sigaretta è ricca di componenti e in più è una sostanza di facile accesso, alla portata di tutti, non occorrono ricette, né permessi, è socialmente accettata quindi è, come dice Arnao, la “droga perfetta”.

Da esperimenti è emerso che la nicotina migliora le capacità di apprendimento, della memoria e forse è legato a questo che si fuma di più nei momenti di lavoro e di massima concentrazione. Ma nello stesso tempo può avere effetto depressivo e rilassante ed allora si fuma quando ci si sente irritabili, nervosi e tesi.

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Sembra che la sigaretta sia un passepartout, buona in tutte le occasioni, può esser stimolante e sedativa. Qualcuno la usa per tirarsi su ed altri per regalarsi un momento di relax.

IL RITUALE DEL FUMARE

Se pensiamo etimologicamente alla parola “smoking” indica l’abito maschile elegante usato durante le riunioni tra uomini, dove si parla di cose virili, – guerra o politica -, fumando sigari o pipa o sigarette.

Ma il gesto del fumare contiene anche elementi innegabilmente femminili, la bocca col suo signifi cato simbolico, la penetrazione del fumo e la sua espulsione, il piacere della lontana suzione del seno. Nel rituale del fumare e nella sua simbologia, il fuoco, la brace, hanno molti signifi cati sia magici, come purificazione o distruzione, che sessuali (nei sogni il fuoco allude ad attività sessuali o masturbazione).

Nelle culture primitive il tabacco veniva usato nelle cerimonie, a volte per il suo effetto distensivo, di benessere, altre volte per le sue capacità inebrianti, come il calumè della pace dei pellerossa. Il fumo inoltre ha anche aspetti socializzanti: è piacevole fumare quando si è in gruppo, se si è soli si è in compagnia della sigaretta, si possono stringere nuove amicizie con l’offerta del fumo, o riempire una vicinanza senza bisogno di parole, è un’intimità oltre la verbalizzazione (ricordiamo la sigaretta fumata dopo l’amore).

TIPI DI ASTINENZA

Ognuno ha un’astinenza soggettiva legata alle condizioni fisiche ed alla personalità del fumatore.

Dipendenza fisica: è causata dalla continua assunzione di nicotina, quando si smette avviene una crisi di astinenza. I sintomi sono disturbi del sonno, tremori, palpitazioni, aumento di appetito. La nicotina è una sostanza molto tossica, pensiamo che il contenuto di due pacchetti di sigarette se assunta in un solo momento è mortale!

Dipendenza psicologica: è causata dai gesti e rituali del fumare. Alcuni fattori sono quelli sociali (atteggiamento per darsi un contegno ecc.), psicologici (bisogni orali o di rassicurazione o di calma ecc.) I sintomi sono assuefazione, ansia, irritabilità e nervosismo.

AIUTI E TERAPIE PER CHI VUOLE SMETTERE

Sappiamo che è difficile smettere se non si è maturata una serie di motivazioni, se non si è deciso con determinazione. Molte sono le tecniche e le terapie usate per combattere “il vizio del fumo”, cercheremo di descriverle.

Cerotti antifumo transdermici: sono cerotti applicati sulla pelle rilasciano sostanze contenute in un gel che vengono assorbite e raggiungono il sistema nervoso. Il loro scopo è ridurre l’astinenza e quindi il bisogno di sigarette. Si trovano nelle farmacie e non è necessaria la ricetta medica; si tratta comunque di un medicinale che può avere controindicazioni (gravidanza, circolazione ecc.) ed effetti collaterali (insonnia, tachicardia ecc). Per questo meglio parlarne con il vostro medico.

Gomme da masticare: sono gomme a base di nicotina, occorre tenerle in bocca per 30/45 minuti in modo che la nicotina venga assorbita. Anch’esse si trovano senza ricetta in farmacia ma valgono le stesse avvertenze dette prima.

Orecchino ed agopuntura: l’orecchino viene inserito da un agopuntore ed ha lo scopo di ridurre l’ansia da astinenza e la voglia di fumare.

Aspirare o annusare: esistono dei bocchini (da non usare con la sigaretta!) che rilasciano nicotina, che viene assorbita dalle mucose della bocca che allevia la voglia di fumare.

Ipnosi: è un sistema che si basa sull’indurre delle suggestioni sgradevoli associate alla sigaretta e sensazioni di libertà dalla nicotina.

Fumare è un’esperienza di apprendimento allora ci si deve convincere che si può disimparare a farlo, senza che sia necessariamente tanto difficile e penoso. Rimane la rinuncia e il fatto che, senza cadere nella retorica, può essere un regalo che fate alla vostra salute ed un aiuto a dare un senso di libertà alla propria vita.

Fumo: come smettere? Fa male: lo sappiamo tutti ma allora perché fumiamo?