Decalogo Antipanico

Ecco perché l’Ordine ha voluto condividere il “decalogo antipanico”.

1. Attenersi ai fatti, cioè al pericolo oggettivo. Il Coronavirus è un virus contagioso ma come ha sottolineato una fonte OMS su 100 persone che si ammalano 80 guariscono spontaneamente, 15 hanno problemi gestibili in ambiente sanitario, solo il 5 hanno problemi più gravi e tra questi i decessi sono circa la metà ed in genere in soggetti portatori di altre importanti patologie.

2. Non confondere una causa unica con un danno collaterale. Molti decessi non sono causati solo dall’azione del coronavirus, così come è successo e succede nelle forme influenzali che registrano decessi ben più numerosi. Finora i decessi legati al coronavirus sono stimati nel mondo sono cento volte inferiori a quelli che si stima causi ogni anno la comune influenza. E tuttavia questo 1% si aggi- unge ed è percepito in modo diverso dai “decessi normali”. Finora nessuno si preoccupava di una forte variabilità annuale perché tutti i decessi venivano attribuiti all’influenza “normale”: nell’ultima stagione influenzale sono scomparsi 34.200 statunitensi e, l’anno prima, 61.099.

3. Se il panico diventa collettivo molti individui provano ansia e desiderano agire e far qualcosa pur di far calare l’ansia, e questo può generare stress e comportamenti irrazionali e poco produttivi.

4. Farsi prendere dal contagio collettivo del panico ci porta a ignorare i dati oggettivi e la nostra capacità di giudizio può affievolirsi.

5. Pur di fare qualcosa, spesso si finisce per fare delle cose sbagliate e a ignorare azioni protettive semplici, apparentemente banali ma molto efficaci.

6. In linea generale troppe emozioni impediscono il ragionamento corretto e frenano la capacità di vedere le cose in una prospettiva giusta e più ampia, allargando cioè lo spazio-tempo con cui esaminiamo i fenomeni..

7. È difficile controbattere le emozioni con i ragionamenti, però è bene cercare di basarsi sui dati oggettivi. La regola fondamentale è l’equilibrio tra il sentimento di paura e il rischio oggettivo.

8. Questa semplice figura permette di vedere la paura del coronavirus in prospettiva.
La figura mostra nella parte superiore i pericoli di cui si ha più paura di quanta se ne dovrebbe avere. In questi casi l’indignazione pubblica può suscitare panico e, di conseguenza, ansie sproporzionate e dannose. Nella parte inferiore, al contrario, ci sono i pericoli a cui siamo abituati e che non provocano paure. La sproporzione tra le aree dei due cerchi mostra quanta differenza c’è tra paure soggettive e pericoli oggettivi. (Fonte: Paolo Legrenzi, A tu per tu con le nostre paure. Convivere con la vulnerabilità, Il Mulino, 2019).

9. La figura mostra il fenomeno delle paure nel loro complesso: l’indignazione pubblica sui media accentua alcune paure, come quelle per gli attacchi terroristici e i criminali armati, e induce a sottovalutare altri pericoli oggettivi a cui siamo abituati. Le caratteristiche del panico per coronavirus lo avvicinano ai fenomeni improvvisi e impressionanti che inducono panico perché sollevano l’indignazione pubblica.

10. Siamo preoccupati della vulnerabilità nostra e dei nostri cari e cerchiamo di renderli invulnerabili. Ma la ricerca ossessiva dell’invulnerabilità è contro-producente perché ci rende eccessivamente paurosi, incapaci di affrontare il futuro perché troppo rinchiusi in noi stessi.

Dipendenza affettiva

Descrizione della Dipendenza Affettiva

Avere legami forti ed esserne condizionati è una cosa normale.

Diventa problematica quando ci si dedica completamente a un’altra persona rinunciando ai propri bisogni, facendo sacrifici pur di accontentarla, fino a ridurre le proprie attività e i propri interessi.

come uscire dalla dipendenza affettiva

Se l’altra persona assorbe tutto il nostro tempo, fino a diventare un’ossessione che condiziona comportamento e pensieri, si tratta di una Dipendenza Affettiva – o Love Addiction – e ha caratteristiche simili a qualsiasi altra dipendenza. Il bisogno di stare con lei è sempre più forte (tolleranza), non si riesce a farne a meno (assuefazione), in sua assenza ci si sente smarriti, persi, impauriti (astinenza), non si riesce a immaginare la propria vita senza l’altro.

In questa situazione, non si riesce a fare un progetto in autonomia, a trascorrere del tempo con se stessi e frequentare altre persone. La paura del distacco e di essere abbandonati è tale da spingere a sopportare situazioni anche molto spiacevoli, a diventare gelosi, possessivi, controllare l’altro oppure a fargli continue richieste di rassicurazione, dimostrazioni d’affetto, senza però riuscire a sentirsi veramente corrisposti. La relazione che si crea non è equilibrata, manca reciprocità e crea grande sofferenza.

Dati statistici sulla Dipendenza Affettiva

La Dipendenza Affettiva riguarda soprattutto le donne tra i 20 e i 50 anni, ed è anche chiamata “Sindrome delle donne che amano troppo”.

Dipendenza Affettiva: le cause

Sulle cause sono state forumale alcune ipotesi. Secondo alcune teorie potrebbe derivare da conflitti psicologici e fattori ambientali o sociali, bisogni rimasti insoddisfatti o traumi subiti durante l’infanzia, come ad esempio la perdita di una persona cara, o da un Disturbo di Ansia da Separazione comparso in età infantile o giovanile.

Dipendenza Affettiva: i sintomi

Si manifesta con i sintomi tipici della dipendenza: tolleranza, assuefazione e astinenza rispetto a un’altra persona, che viene idealizzata e diventa indispensabile per la propria auto-realizzazione e il proprio benessere, inoltre possono essere presenti:

  • mancanza di autonomia;
  • riduzione di interessi e vita sociale;
  • rinuncia ai propri spazi, bisogni e desideri;
  • atteggiamento servizievole, tollerante e sottomesso;
  • difficoltà a manifestare disaccordo e i propri sentimenti;
  • possessività, grande gelosia, controllo dell’altra persona;
  • sentimenti di rabbia, paura dell’abbandono e sensi di colpa;
  • perdita di lucidità e difficoltà a controllare i propri atteggiamenti;
  • ansia, angoscia, senso di vuoto, depressione e smarrimento all’idea del distacco.

Le 11 idee irrazionali (o disfunzionali) di Albert Ellis

Il termine “idee irrazionali” viene coniato da Albert Ellis (Ellis, 1957-1962) fondatore della RET, Terapia Razionale Emotiva.
Ellis ha individuato 11 convinzioni disfunzionali che rappresentano ideologie, convinzioni e atteggiamenti correlati ai più importanti disturbi emotivi e comportamentali.

1) Io, essere umano adulto, ho assoluto bisogno (estrema necessità o esigenza) di venire (sempre) amato, stimato e approvato (o almeno non giudicato male – o al minimo ignorato) da tutte le persone (che io ritengo) significative (importanti) del mio ambiente = da tutti quelli che dico io – altrimenti è gravissimo, orribile, terribile, catastrofico.

2) Io devo assolutamente essere (e/o dimostrarmi) sempre perfettamente adeguato, competente e di successo in tutto quello che faccio e sotto ogni rispetto (o almeno in questa cosa specifica, oppure in almeno una cosa) – altrimenti sono indegno di valore = valgo poco o niente.

3) Tutte le persone che dico io (compreso me stesso) devono assolutamente comportarsi (sempre) come mi pare giusto (come dico io) – altrimenti sono intrinsecamente cattive, malvagie e scellerate, e quindi meritano di essere severamente condannate e punite (anche perché così imparano).

4) Tutte le cose devono assolutamente andare (sempre) come piacerebbe a me, come mi sembra giusto che vadano (insomma, come dico io) – altrimenti è inaccettabile, intollerabile, insopportabile (io non lo accetto, non lo tollero, non lo sopporto).

5) La mia infelicità (disagio, ansia, depressione, angoscia, rabbia, eccetera) dipende da cause esterne (o essenzialistiche) e quindi io posso fare poco o niente per cercare di controllare le mie pene e i miei disturbi (varianti: io reagisco così – sono fatto/a così – è la mia natura, il mio carattere, la mia personalità).

6) Siccome può succedere (succedermi) qualcosa di brutto, pericoloso o dannoso allora:
a) mi devo preoccupare in continuazione;
b) devo pensare che succederà (quasi) di sicuro;
c) che succederà nelle forme peggiori;
d) che non ci potrò (non ci si potrà, nessuno ci potrà) mai fare nulla;
e) e che tutto finirà nel modo più orribile, terribile e catastrofico.

7) Se qualcosa mi sembra difficile (perché richiede impegno, fatica, disagio, o una mia assunzione di responsabilità, ovvero mi provoca ansia) allora mi conviene evitarla piuttosto che affrontarla.

8) Io sono debole (insicuro/a, incapace, handicappato/a, emotivamente instabile e facilmente vulnerabile) e quindi ho bisogno di qualcuno più forte a cui appoggiarmi e da cui dipendere – altrimenti non ce la posso fare (a vivere, a esser felice, a lavorare, a muovermi, ecc.).

9) Il mio passato (la mia infanzia, le mie esperienze precoci) è la determinante assoluta delle mie condizioni attuali; e se una volta qualcosa ha avuto una forte influenza su di me, allora continuerà per sempre ad esercitare lo stesso effetto – quindi non c’è niente da fare (la mia personalità, il mio carattere è stato formato in questo modo e quindi non si può cambiare).

10) Se qualcuno (gli altri, tutti gli altri o tutti quelli che dico io) ha qualche problema o disturbo o sofferenza che gli fa fare (dire, pensare o sentire) qualcosa che non mi piace (che mi sembra sconveniente, irragionevole, dannoso, ingiusto, ecc.) allora io mi devo tremendamente sconvolgere per questo motivo.

11) E’ sempre possibile trovare una soluzione perfetta (o avere una sicurezza assoluta, ovvero un controllo completo) di fronte a qualsiasi problema umano, e quindi io la devo assolutamente raggiungere – altrimenti succederanno catastrofi ed orrori.

Il cervello dei depressi non stacca mai la spina

Niente pause e stand-by per chi è depresso. Il cervello non riesce mai a staccare la spina e a entrare in una fase di riposo e calma interiore. Ricercatori viennesi hanno scoperto perché questo accade: è un difetto nel meccanismo di distribuzione della serotonina a mettere i bastoni tra le ruote.

Chi soffre di depressione e ansia è vittima di uno stato continuo di tensione. Lo studio, pubblicato su Pnas (Proceedings of the National Academy of Sciences) ha svelato questo ulteriore segreto del cervello umano: quando non c’è niente da fare, e in condizioni normali, si attiva quello che viene definito “default mode network”, una complessa interazione tra reti neurali che corrisponde alla fase di “stand by” di computer ed elettrodomestici. Questo meccanismo consente il rilassamento interiore e apre la strada alla divagazione e ai sogni a occhi aperti, gli stessi “sintomi” di uno studente che guarda fuori dalla finestra.

Per chi è affetto da sindrome depressive e ansiose questo “blocco delle attività” nervose non arriva mai: colpa a quanto pare, secondo quanto scoperto dai ricercatori dell’Università di Vienna guidati da Siegfred Kasper, di un difetto del recettore 1 A della serotonina, l’ormone del buon umore. L’obiettivo del recettore è quello di spegnere l’interruttore dell’attività cerebrale principale, consentendo al cervello di entrare in una fase di quiete produttiva, utile probabilmente a conservare le energie cerebrali e a ripulire i collegamenti nervosi da un eccesso di comunicazioni. O almeno è quanto sperano adesso di ricostruire i ricercatori, che in questo modo auspicano di trovare soluzioni terapeutiche efficaci per chi soffre di depressione.

di Cosimo Colasanto (02/03/2012)

Il disturbo post traumatico da stress

Il disturbo post traumatico da stress si sviluppa in seguito a forti traumi, come quello del naufragio della Concordia

di Caterina Steri

Da qualche settimana ad oggi si parla tanto dell’incidente della nave da crociera Concordia, evento che ha avuto sicuramente un forte impatto emotivo, non solo nei confronti di chi lo ha subito. Mi viene da pensare alle innumerevoli conseguenze che un incidente del genere possa aver causato: sociali, ambientali, economiche, familiari… Come psicologa, mi è facile supporre che tra queste ce ne siano alcune colpite da conseguenze psicologiche importanti. Tra le tante, il disturbo post traumatico da stress, che scaturisce infatti, in seguito ad eventi stressanti e traumatici quali catastrofi, incidenti e violenze, anche se l’aver vissuto un’esperienza traumatica non genera automaticamente un disturbo del genere. Questo disturbo viene anche chiamato nevrosi da guerra, perché riconosciuto tra le varie conseguenze sui soldati coinvolti nel conflitto bellico in Vietnam.

Per diagnosticarlo occorre che la presenza dei sintomi compromettano il funzionamento sociale e/o lavorativo della persona e che questi possano essere direttamente correlati ad un evento traumatico che abbia causato orrore, paura intensa o senso di impotenza.

Nelle vittime del disturbo post traumatico da stress si manifestano “il continuo rivivere l’evento traumatico, l’evitamento persistente degli stimoli associati con il trauma, la riduzione progressiva della vivacità intellettiva e sensoriale” (DSM IV R).

Vi è poi un innalzamento dei livelli di ansia, depressione, rabbia, insonnia, incubi, difficoltà a concentrarsi.

Penso alle vittime della Concordia, piuttosto che a quelle delle alluvioni dei mesi precedenti, o dei terremoti, mi viene da rivolgermi a loro dicendo che tutti questi sintomi non sono manifestazione di follia, ma naturale conseguenza dei traumi subiti e che possono essere affrontati e risolti insieme all’aiuto di esperti. Il dolore e la paura possono essere affrontati, associando motivazione e convinzione nella possibilità di superarli.

13 febbraio 2012

Quando e perchè consultare uno psicologo

Nella vita di tutti i giorni ci troviamo ad affrontare innumerevoli problemi e situazioni che richiedono abilità e competenze differenziate.

In un mondo che ci richiede un costante lavoro di messa a punto delle nostre capacità di far fronte alle situazioni più disparate, abbiamo l’esigenza di una continua riprogettazione del nostro modo di vivere.

In questo contesto parlare con uno psicologo può aiutarti a trovare la giusta direzione.

La paura di volare

a cura della dr.ssa Emanuela Boldrin – Psicoterapeuta

La fobia che ci condiziona il modo di viaggiare.

La paura di volare è un’ansia diffusa e anticipatoria che vivono molte persone e che condiziona a volte il desiderio di fare un viaggio in un posto lontano od obbliga a scelte impegnative quando ci si trova a dover affrontare un percorso lungo o faticoso.
Il termine corretto per definire questa fobia è aerofobia o aviofobia. Di solito la tensione emerge qualche giorno prima della partenza e si amplifica man mano che ci si avvicina all’evento.
Si esprime con sintomi psicosomatici di sudorazione eccessiva, rituali rassicuranti, tachicardia, senso di vertigine o nausea.

A livello psicologico quest’ansia tipica di tutte le paure, nasce per difenderci da un’emozione che sarebbe ancora più difficile da affrontare, è come un campanello d’allarme che ci esprime qualcosa che non va dentro di noi. Possiamo parlare di paura di mettere la propria sicurezza nelle mani di un pilota o di un mezzo come l’aereo, oppure paura di non poter scendere e sentire il suolo sotto i piedi, vivere una sfiducia nell’affidarsi agli altri ecc.

Se analizziamo il ruolo che viviamo come passeggeri in generale, possiamo spostare l’attenzione a come viviamo la stessa condizione in auto. Essere passeggeri colloca la nostra vita nelle mani di un individuo che guida e ci dirige. Se abbiamo un senso di disagio anche in auto sarà probabile vivere la stessa paura in un mezzo come l’aereo.

Le persone che soffrono di questa paura si rendono perfettamente conto dell’irrazionalità di certe reazioni emotive, ma non possono controllarle.
In aereo siamo sospesi tragicamente ed inesorabilmente nel vuoto. Questo simbolicamente ci porta a vivere l’insicurezza e l’instabilità. In questo ambito si scatenano anche paure legate alla morte ed all’impotenza di fuggire per salvarsi.
Sembra che alcune fasi più di altre siano fonti di timore. In particolare vengono vissuti male il decollo e l’atterraggio, soprattutto se avvengono in situazioni meteorologiche instabili, con turbolenze, temporali o
forte vento.

Ci possono essere vari gradi di intensità nell’aviofobia. Si può passare dal semplice timore, più o meno lieve, dal disagio avvertito prima o durante il volo, al terrore assoluto che impedisce al soggetto di affrontare il volo o che provoca disagi molto seri fino alle crisi d’ansia acuta e al panico.
Spesso le persone che soffrono la paura di volare sono predisposte all’ansia anche per altre situazioni. Per questo motivo cercare in generale strumenti che combattono questo stato d’animo aiuta.
Quindi puntare su modulare una respirazione lenta, visualizzare scene piacevoli e rassicuranti, rilassarsi aiuta a predisporsi serenamente davanti all’evento di una partenza.
La paura di volare può essere avvertita anche da chi non ha mai volato, bloccandolo fin dalla semplice decisione di prendere l’aereo.
Questa situazione rischia di condizionare ai giorni d’oggi, dobbiamo quindi cercare di vivere le nostre paure non come ostacoli insormontabili o limiti al nostro stile di vita ma come strumenti per guardarsi dentro e migliorarci

AIUTI CONTRO LA PAURA DI VOLARE

  • Cercare di arrivare al volo riposati e puntuali
  • Cercare di fare il viaggio in compagnia di qualcuno
  • Durante il viaggio tentare di distrarsi chiacchierando, leggendo, guardando un film
  • Non guardare fuori del finestrino perché fa aumentare la paura
  • Evitare the, caffè e in generale bevande che possono agitare
  • Pensare di fare un breve percorso di psicoterapia cognitivo-comportamentale in cui si tenta di riprodurre simbolicamente una situazione di stress.

LE CAUSE Possono essere di varia natura.

Si può avere paura:

  • degli spazi chiusi, come quello di un aereo
  • dell’altezza
  • di non avere il controllo della situazione (fine del topo)
  • delle folle
  • di esperienze precedenti traumatizzanti accadute in volo (o la perdita di familiari, amici, in un disastro aereo)
  • di attacchi terroristici
  • delle turbolenze
  • di avere un attacco di panico
  • di volare sull’acqua o di notte

Wikipedia: la psicoterapia

La psicoterapia è una branca specialistica della psicologia che si occupa della cura di disturbi psicopatologici di diversa gravità che vanno dal modesto disadattamento all’alienazione profonda e possono manifestarsi in sintomi nevrotici oppure psicotici tali da nuocere al benessere di una persona fino ad ostacolarne lo sviluppo causando fattiva disabilità; a tal fine si avvale di tecniche applicative della psicologia dalle quali prende specificazione: psicoterapia cognitivo-comportamentale, psicoterapia psicoanalitica, ecc.

Professionalmente la psicoterapia è una specializzazione sanitaria riservata a Medici e Psicologi iscritti ai rispettivi Ordini professionali e in Italia si consegue mediante un percorso formativo presso scuole di specializzazione universitarie ovvero in scuole di specializzazione private. Queste ultime legittimate da una Commissine di controllo del MUR – Ministero dell’Università e della Ricerca – ad erogare formazione specialistica.

Etimologicamente la parola psicoterapia – “cura dell’anima” – riconduce alle terapie della psiche realizzate con strumenti psicologici quali la parola, l’ascolto, il pensiero, la relazione, nella finalità del cambiamento consapevole dei processi psicologici dai quali dipende il malessere o lo stile di vita inadeguato e connotati spesso da sintomi come ansia,depressionefobie, etc

Attacchi di panico

Diagnosi attacco di panico

attacco di panico

Un attacco di panico corrisponde a un periodo preciso durante il quale vi è l’insorgenza improvvisa di intensa apprensione, paura o terrore, spesso associati con una sensazione di catastrofe imminente.

Un periodo preciso di intensa paura o disagio, durante il quale quattro (o più ) dei seguenti sintomi si sono sviluppati improvvisamente ed hanno raggiunto il picco nel giro di 10 minuti:

  1. palpitazioni,cardiopalmo, o tachicardia
  2. sudorazione
  3. tremori fini o grandi scosse
  4. dispnea o sensazioni di soffocamento
  5. sensazioni di asfissia
  6. dolore o fastidio al petto
  7. nausea o disturbi addominali
  8. sensazioni di sbandamento, di instabilità, di testa leggera o di svenimento
  9. derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (essere distaccati da sé stessi)
  10. paura di perdere il controllo o di impazzire
  11. paura di morire
  12. parestesie(sensazioni di torpore o di formicolio)
  13. brividi o vampate di calore.